A due anni dall’inizio della pandemia e con la produzione di ben quattro relazioni fiume, una del centrodestra e tre diverse delle opposizioni (una di M5s, una di Usuelli di + Europa, una Pd/Usuelli/civici), si sono conclusi i lavori della Commissione d’inchiesta Covid-19 di Regione Lombardia, istituita il 28 aprile 2020. (In)degne di nota le lungaggini per il suo insediamento, il 13 maggio, con un balletto politico per la nomina del presidente e l’effettivo avvio dei lavori, il 12 ottobre 2020.

Pagine e pagine di accuse incrociate tra maggioranza e opposizioni regionali per scoprire che all’appello mancano i verbali del Cts lombardo relativi al primo mese di pandemia. Viene da chiedersi, allora, su quali basi abbia operato la Commissione d’inchiesta. Presieduta dal dem Gianantonio Girelli, si è riunita 26 volte e ha ascoltato – senza particolari risultati – tutti i direttori generali, sanitari, sociosanitari delle Ats e Asst lombarde. Testimonianze poco proficue trattandosi di dirigenti di nomina fiduciaria regionale. Audizione finita in polemica, invece, quella del 6 luglio scorso con i familiari delle vittime di Covid. La maggioranza di centrodestra in commissione aveva abbandonato l’aula lamentando la diffusione alla stampa dei contenuti della relazione legale delle famiglie «violando la riservatezza che regola i lavori», recitava la nota dei consiglieri Anelli, Mariani e Cappellari (Lega), Lucente (Fd’I) e Beccalossi (Misto) andati via «per protesta».

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Dopo 18 mesi di lavori, comunque, è impossibile arrivare a un’unica verità sulle morti della Lombardia. «La tempestiva applicazione della zona rossa nella Bergamasca poteva salvare delle vite. Tra le 2mila e le 4mila vittime evitabili», secondo la super perizia del professor Andrea Crisanti al vaglio dei pm di Bergamo dallo scorso 14 gennaio.

Ma nelle 54 pagine di relazione presentata dal centrodestra in Commissione si legge che «Regione Lombardia ha operato instancabilmente con ogni mezzo» e che la Giunta «si è attenuta alle disposizioni nazionali talvolta anche anticipandole». Una relazione – e le conclusioni del documento ne sono la sintesi – che non tiene conto dei numerosi cambi di guida – la rimozione di Giulio Gallera dall’assessorato al Welfare con l’arrivo di Letizia Moratti, il dg Welfare Marco Trivelli allontanato dopo soli otto mesi di lavoro per fare posto al manager padovano Giovanni Pavesi – oltre che dei diversi scandali più o meno risolti (mascherine-pannolino, caso camici, Ospedale in Fiera di Bertolaso).

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Dal canto loro, le opposizioni hanno evidenziato diversi punti critici: la sottovalutazione della situazione insieme all’oggettiva impreparazione; le ingerenze della politica sulla tecnica; le disfunzioni del sistema sanitario già presenti e solo esacerbate dalla pandemia.

«C’è stata grande reticenza da parte della Giunta nel consentire alla commissione di fare luce su quello che è successo», ha commentato il capogruppo dem in Consiglio Fabio Pizzul, evidenziando quello che è il vero anello debole del lavoro del pool: «Sono più i documenti mai arrivati di quelli che si sono potuti esaminare: mancano totalmente i verbali del cosiddetto Comitato tecnico-scientifico per il primo mese». La commissione, ha spiegato Pizzul, avrebbe potuto anche ampliare i tempi dell’indagine, ma così non è stato.

A margine della chiusura dei lavori, comunque, l’ennesima polemica della Lega per una presunta fuga di notizie riguardo alle relazioni finali, ancora secretate, con minaccia di un esposto in Procura. «Più giusto parlare di fuga dalle proprie responsabilità», ha risposto il consigliere di + Europa Michele Usuelli.