A otto giorni dal devastante sisma che ha colpito il sud-ovest turco e il nord-ovest siriano, il bilancio delle vittime sale: 35.418 in Turchia, 5.714 in Siria per un totale di oltre 41mila morti. E mentre le ricerche proseguono (ieri ci sono stati ancora casi di recupero di dispersi in vita), in Turchia lo scontro è tutto politico.

Ieri il partito di sinistra pro-curdo Hdp ha sporto denuncia contro i funzionari e gli enti amministrativi responsabili dell’emissione di permessi di costruzione e del controllo del rispetto delle normative edilizie nelle dieci province colpite. L’accusa mossa dall’Hdp è di omicidio e distruzione di proprietà.

Sul piatto ci sono anche le elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo 14 maggio: ieri membri dell’Akp (il partito del presidente Erdogan – e di governo) hanno avanzato l’ipotesi di posporre il voto. Ipotesi subito rigettata dalle opposizioni, in particolare dall’Hdp e dai repubblicani del Chp con il leader Kılıçdaroglu che non nasconde la speranza che il sisma possa aver sgretolato il consenso del presidente.

Dall’altra parte del confine, intanto, qualcosa si muove sul fronte degli aiuti: dal valico di Bab al-Salam (chiuso dal 2020) ieri sono passati dieci camion dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni, diretti nelle zone controllate dalle opposizioni jihadiste. È il primo ingresso di personale Onu nella Siria del nord-ovest dal sisma del 6 febbraio. Ad autorizzare l’apertura del valico è stato il governo di Damasco. Resterà funzionante almeno tre mesi.

Ma le necessità sono molto più ampie. A darne la misura sono state le Nazioni unite: nove milioni di persone in Siria sono state colpite dal terremoto. Da cui, aggiunge l’Onu, la necessità di raccogliere con urgenza 397,6 milioni di dollari in tre mesi. (chiara cruciati)