Trentaquattro giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, in Germania scatta allarme energetico. Ieri il ministro dell’Economia, Robert Habeck (Verdi), è stato costretto ad accendere la prima delle tre spie del suo piano di emergenza approntato la settimana scorsa.

Ufficialmente si tratta di un’«allerta preventiva» che non prevede l’intervento diretto del governo ma solo la creazione di una task-force che dovrà confrontare quotidianamente il flusso del gas nelle pipeline con le esigenze delle utenze industriali e domestiche. Identica misura è stata adottata anche Vienna, come ha confermato il cancelliere austriaco Karl Nehammer, convinto della necessità di «reagire prontamente ai cambi di scenario».

Secondo Habeck «nonostante al momento non si registrino cali di approvvigionamento in Germania, dobbiamo mettere in campo ogni precauzione per arrivare preparati all’ulteriore escalation da parte della Russia» riassume il numero due della coalizione Semaforo. Con un appello sintomatico del suo grado di preoccupazione: «Voglio essere chiaro con i tedeschi; siamo arrivati al punto in cui aiuta anche solo il risparmio di un singolo kilowattora».

PAROLE TUTT’ALTRO che rassicuranti. Del resto, i margini di manovra di Berlino sono sempre più stretti dopo la richiesta di Vladimir Putin di essere pagato in rubli (anche se da Mosca hanno precisato che non avverrà da subito) e la corsa dell’inflazione arrivata a toccare il tetto del 7,3%: il record degli ultimi 40 anni.

«Pretendendo di essere pagato in rubli, Putin prova a smontare le sanzioni. Ma nel G7 abbiamo ribadito che non accetteremo violazioni degli attuali contratti in euro e dollari» precisa Halbeck, ben consapevole, però, che il braccio di ferro con Mosca potrebbe portare in breve alla chiusura totale dei rubinetti del gas. Problema matematicamente irrisolvibile: con buona pace degli sforzi per diversificare le fonti, la Bundesrepublik continua a importare il 55% del suo gas dalla Russia mentre lo stoccaggio non supera quota 25%.

INSOMMA, UN DEFICIT incolmabile. Ieri ha provato a spiegarlo anche il sindaco Spd di Amburgo, Peter Tschentscher, super-favorevole alle sanzioni ma anche pronto a ricordare a Habeck e Scholz come lo stop totale «danneggerà più l’Occidente che la Russia, mentre non aiuteremo nessuno se alimentiamo la povertà in Germania».

Comunque, il primo stadio del piano di emergenza predisposto da Habeck è stato acceso, ma potrebbe non bastare. La task-force formata dai tecnici dell’Agenzia delle Reti più gli esperti del mercato energetico e i rappresentanti dei 16 Land prevede altri due livelli di allerta.

Il successivo (denominato «Allarme») entrerà in vigore in caso di interruzione delle forniture o a seguito dell’impennata della domanda di gas tale da mettere a rischio le riserve strategiche. Anche in questo caso lo Stato starà a guardare lasciando che sia il «libero mercato» a farsi carico del problema. Al contrario del terzo e ultimo livello («Emergenza») incardinato sull’intervento diretto dell’Agenzia delle Reti chiamata ad assicurare il gas necessario ai «clienti protetti» (ospedali, famiglie, centrali elettriche) nelle nuove vesti di «distributore federale del gas», per dirla con la definizione di Habeck.

FINORA, RIMANE un orizzonte teorico. Nonostante ieri lo scenario catastrofico sia stato ipotizzato pure dai manager delle industrie più energivore, dalla chimica alla siderurgia. Da Düsseldorf hanno fatto sapere a Berlino che anche solo una forte riduzione del gas «avrebbe conseguenze disastrose per l’intera manifattura tedesca».

Per il momento a pagare il prezzo più salato è l’Automotive. Il colosso dei camion Man ha dovuto fermare parte della produzione negli stabilimenti di Monaco, Norimberga, Salzgitter, Wittlich e Cracovia «già da inizio mese», come ha confermato ieri il Gruppo Volkswagen. Risultato: part-time obbligatorio per circa 11 mila dipendenti (sul totale di 14 mila impiegati nelle catene di montaggio nazionali), blocco delle nuove assunzioni e piano per ridurre i maxi-stipendi dei dirigenti nei prossimi tre mesi. Colpa del caro energia, soprattutto, ma anche del dimezzamento della consegna dei cablaggi per i Tir da parte dei fornitori con le fabbriche in Ucraina.