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In fila a Gaza nei mercati tra prezzi alle stelle: «Come posso sfamare la mia famiglia?»

In fila a Gaza nei mercati tra prezzi alle stelle: «Come posso sfamare la mia famiglia?»Tra le macerie della propria casa nel quartiere di Al-Zahra – Ap/Adel Hana

Palestina Da venerdì, primo giorno di tregua, entrati solo 400 camion di cibo. L'offensiva israeliana è l'ultimo chiodo nella bara dell'economia evanescente della Striscia. Intanto in Cisgiordania uccisi ieri due 25enni. La denuncia di Save the Children: da gennaio in West Bank 101 bambini vittime di coloni e soldati israeliani, 63 solo dal 7 ottobre

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 dicembre 2023

Banchetti di legno con sopra cassette di frutta e verdura e qualche bacinella blu piena di ciliegie: è il mercato improvvisato del campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. La cornice è spettrale, palazzi grigi accartocciati su se stessi.

Di persone che girano tra i banchetti ce ne sono tantissime, come tantissime sono quelle in fila per un piatto di riso distribuito gratuitamente a sud. Hanno i volti emaciati, grigi come le macerie. E sono in attesa di sapere se la pausa nei raid strapperà qualche giorno in più all’operazione israeliana Spade di ferro.

NON È ABBASTANZA: «Non vogliamo una tregua per uno o due giorni – dice Salem Abu Qumbuz ad al Jazeera – Vogliamo tornare alle nostre case nel nord. Non vogliamo restare sfollati a sud. Non abbiamo niente, non abbiamo vestiti né coperte». Centinaia di migliaia di persone sono fuggite con pochissime cose addosso, a volte solo i vestiti. Chi aveva la fortuna di possedere un’auto o anche solo un carretto trainato da un asino ci ha messo sopra un paio di valige, coperte e materassi.

A tappare la voragine umanitaria non bastano i 1.132 camion di aiuti che, dice la Mezzaluna rossa palestinese, sono entrati dal valico di Rafah dall’inizio della tregua, venerdì scorso. Di questi 400 trasportavano cibo. Non bastano, i bisogni sono incolmabili.

I gazawi provano a fare da sé, a comprare quel che serve a sopravvivere in un mercato svuotato di beni. Alla carenza si somma l’inflazione «di guerra». I prezzi sono alle stelle, e alle stelle spingono anche la rabbia e la frustrazione della popolazione. «L’altro giorno sono riuscita a comprare solo una scatoletta di tonno. Come dovrei mantenerci la mia famiglia?», dice Imm Abdullah ai giornalisti.

L’acqua in bottiglia costa il doppio, un chilo di sale dieci volte tanto. Un cartone di uova arriva a costare undici dollari, un chilo di patate sei. «A volte mi dico se non fosse stato meglio restare a casa nostra e venire bombardati che passare questo inferno».

I NUMERI-OMBRELLO li dà il Palestinian Central Bureau of Statistics: il 53% della popolazione di Gaza (2,2 milioni di persone) vive in povertà, il 33,7% in estrema povertà, il 64% non ha cibo a sufficienza. Anche per la fine, di fatto, del settore agricolo: non si raccoglie nulla a Gaza da quasi due mesi e i campi sono devastati dal passaggio dei carri armati e dei bulldozer israeliani. A ciò si aggiungono 65mila imprese distrutte o danneggiate.

L’ultimo chiodo nella bara di un’economia già inesistente, sbriciolata dall’assedio iniziato nel 2007 e dalle svariate operazioni militari israeliane che hanno costretto a investire miliardi in una ricostruzione continua e vana.

E mentre il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, in un video su X ha reiteratola necessità di un cessate il fuoco (15 ospedali su 36 ancora funzionanti lavorano per il triplo dei pazienti delle loro capacità), ieri è proseguito lo scambio di ostaggi, 30 prigionieri politici palestinesi (otto donne e 22 bambini) e dieci rapiti israeliani. Le prime due donne – Mia Schem di 21 anni e Amit Sosana di 40 – sono state affidate alla Croce rossa nel pomeriggio.

A oggi sono 120 i rapiti israeliani rilasciati da Hamas, 240 i palestinesi usciti dalle carceri israeliane. Significa che a Gaza restano 110-120 ostaggi, per lo più uomini. Difficile dire quanti siano morti. Di tre di loro uccisi in raid aerei, ha detto ieri Hamas, Israele non vorrebbe indietro i corpi: Tel Aviv, secondo il movimento islamista, avrebbe rifiutato le tre salme. Nessun commento dal governo Netanyahu.

Nessuna tregua in Cisgiordania: ieri a Tubas è stato ucciso un ragazzo di 25 anni, Karam Bani Odeh. Anche nel suo caso, denunciano i palestinesi, l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze di soccorrerlo. Nella Valle del Giordano, è stato ucciso Karam Bani Odeh, 25 anni. Sono 249 i palestinesi uccisi dal 7 ottobre.

La denuncia peggiore – nell’anno più sanguinoso dalla Seconda Intifada – la lancia Save the Children: dal 7 ottobre coloni e militari israeliani hanno ucciso almeno 63 bambini, una media di uno al giorno; nei mesi precedenti ne hanno uccisi 38. Un totale di 101 minori da gennaio.

INFINE, i prigionieri politici. Anche ieri, a fronte di 30 rilasci, le autorità israeliane hanno arrestato altri 40 palestinesi, portando a 3.365 i detenuti tra Cisgiordania e Gerusalemme est dal 7 ottobre.

È in questa atmosfera di repressione invisibile che ieri in Israele e nei Territori occupati è arrivato il procuratore generale della Corte penale internazionale, Karim Khan. Ha incontrato le famiglie delle vittime dell’attacco di Hamas e poi si è spostato a Ramallah. Su di lui montano le pressioni per proseguire e portare a compimento le indagini per crimini di guerra contro lo Stato di Israele.

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