«Sono sicuro che attraverso i nostri sforzi congiunti difenderemo l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale» della Repubblica di Lugansk, ha dichiarato ieri il presidente russo Vladimir Putin, in un messaggio di congratulazioni al leader dell’autoproclamata Repubblica Popolare, Leonid Pasechnik. Quest’ultimo ha risposto pubblicamente ringraziando Putin e affermando che quel territorio «non tornerà mai sotto il controllo ucraino» e che la maggior parte dei suoi residenti vuole che diventi parte della Russia.

Tali comunicati, diffusi a mezzo stampa dall’agenzia statale russa Tass, ricordano al mondo che il Donbass è chiaramente uno degli obiettivi di questa guerra e che il Cremlino non si fermerà finché non avrà sottratto all’Ucraina anche le parti degli oblast di Lugansk e Donetsk ancora sotto il controllo di Kiev.

NELLE ULTIME due settimane la situazione nel Donbass settentrionale si è molto aggravata. I bombardamenti sono ormai incessanti e la popolazione civile è stremata da oltre due mesi di vita randagia nei rifugi sottoterra, nelle cantine e nei garage. Ieri il governatore regionale dell’oblast di Lugansk ucraino, Segriy Haidai, ha dichiarato su Telegram che il suo territorio è rimasto senza acqua e energia elettrica e che solo 20mila residenti hanno ancora il gas. Inoltre, le comunicazioni mobili nella regione sono interrotte e la situazione umanitaria è disastrosa.

Secondo Haidai, gli aiuti rimasti nei magazzini sono insufficienti e la consegna è difficile a causa delle strade danneggiate dai bombardamenti. Quasi contemporaneamente il ministero della difesa ucraina ha diffuso la notizia che le sue forze armate stanno iniziando a far saltare i ponti della regione per fermare l’avanzata delle truppe russe.

Fonti ucraine hanno pubblicato delle immagini satellitari che mostrano due ponti distrutti lungo il fiume Siversky Donets vicino al villaggio di Bilohorivka. Tuttavia, alcuni siti di intelligence internazionale hanno mostrato nel pomeriggio un breve filmato in cui un’intera squadra di mezzi corazzati russi è distrutta da un attacco a sorpresa ucraino proprio mentre cercava di attraversare il fiume Siversky Donets a pochi chilometri di distanza.

Tra Severodonetsk, il capoluogo della regione, e Lysychansk, uno dei centri più grandi, non si contano più i palazzi distrutti. Alcuni bunker di costruzione sovietica, mimetizzati tra i palazzi, ospitano centinaia di persone che definire esasperate sarebbe un eufemismo. Persino uno spostamento di poche centinaia di metri a piedi diventa angosciante in un contesto del genere.

Il rischio che un Grad colpisca proprio in quel momento è altissimo e sono in molti ad aver rinunciato a qualsiasi movimento. Raccontare che in quei luoghi illuminati costantemente dalla stessa luce al neon le persone si chiedono solo quando finirà la loro sofferenza può sembrare retorico, ma lo sforzo da fare per chi non è coinvolto non è solo di empatia, quanto di praticità.

NELLE ORE DI VEGLIA, senza avere una minima idea di che momento della giornata sia se non grazie all’orologio, queste migliaia di persone aspettano gli aiuti umanitari, chiacchierano con un parente o con qualche vicino, passeggiano per il rifugio e poi tornano a sedersi sul materasso sistemato su un pallet come quelli dei magazzini. E quante centinaia di volte in una giornata ci si chiede: «Per quanto ancora?» è difficile immaginarlo.

Finora non ci è capitato di incontrare neanche una persona che abbia detto di non chiederselo più, di pensare ad altro, come se la guerra fosse già diventata una costante, una sorta di parentesi esistenziale. Si attende, si spera anche un poco ma, soprattutto, ci si dispera.

LO STESSO AVVIENE nella regione confinante, quella di Donetsk, con la differenza che qui i russi non sono riusciti ad avanzare via terra ma sono fermi sulle proprie posizioni da almeno due settimane. Ieri mattina il governatore locale, Pavlo Kyrylenko, ha dichiarato che non c’è «praticamente nessun insediamento» su cui le forze russe non abbiano sparato nelle ultime 24 ore, comprese le città di Slovjansk, Kramatorsk, Bakhmut e Pokrovsk. Kyrylenko ha sottolineato che le forze russe stanno prendendo di mira sia le infrastrutture militari sia le civili ma su questo non serviva una conferma ufficiale, è evidente a chiunque entri in una di queste città.

Intanto, sempre l’agenzia russa Tass ha diffuso le dichiarazioni delle autorità russe per l’immigrazione secondo le quali 15mila persone sarebbero passate dalla regione ucraina del Donbass alla regione russa di Rostov tra l’11 e il 12 maggio. Cifra che non può essere verificata.

E non sono chiare le circostanze in cui questi «trasferimenti» sarebbero avvenuti, se si tratta di decisioni spontanee degli individui, di trasferimenti coatti o di falsità propagandistiche. Riportiamo il dato perché dall’inizio della guerra ci si pone la domanda sulla sorte alla quale andranno incontro i civili delle aree occupate dai russi. Dopo quasi tre mesi di guerra, qualche dato inizia a circolare.

A PROPOSITO DI DATI, il portavoce dell’Unhcr, Matthew Saltmarsh, ha dichiarato ieri che 2,4 milioni di persone tra quelle che hanno lasciato l’Ucraina si sono insediate temporaneamente nei Paesi confinanti, che hanno accolto la maggior parte dei profughi di questa guerra.

Due giorni prima, l’Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, Filippo Grandi, aveva fatto sapere dal suo canale Twitter che il numero di rifugiati provenienti dall’Ucraina ha raggiunto la stessa cifra di quelli scappati dalla guerra in Siria 11 anni fa: 5,7 milioni di persone. La guerra in Siria fino a oggi era stata l’origine della più grande crisi di rifugiati al mondo, ma questo tragico record potrebbe presto essere infranto.

Riportiamo anche che ieri il governatore della regione russa di Belgorod, Vyacheslav Gladkov, ha dichiarato che il suo territorio è stato bombardato dall’artiglieria ucraina e che al momento ci sarebbero un morto e sei feriti. Nel territorio di Belgorod al momento ci sarebbero 19 battaglioni tattici russi pronti a entrare in azione proprio in Donbass.

DALL’ALTRA PARTE, nella regione di Poltava, ieri tra gli otto e i dodici missili russi hanno colpito la raffineria di petrolio e altre infrastrutture nel polo industriale ucraino di Kremenchuk, come dichiarato dal governatore locale Dmytro Lunin. Risulta evidente che la strategia russa continua a essere quella di colpire i depositi di carburante degli ucraini per impedire gli spostamenti di truppe e mezzi verso est.