Che il microbiologo Andrea Crisanti guardasse interessato alla scena politica lo si sapeva. «Sono iscritto al Pd a Londra ormai da diversi anni» ha confermato ieri. Non è un innamoramento di comodo: qualcuno sostiene persino di averlo incrociato al collettivo di medicina del manifesto alla «Sapienza» di Roma negli anni Settanta. Però la scelta di candidare lo scienziato come capolista del Partito democratico al Senato nella circoscrizione europea sorprende lo stesso. Le possibilità di elezione sono elevate: nel 2018 il Pd risultò la prima lista nel collegio con il 32% dei voti e elesse due deputati e un senatore. Nella sparuta pattuglia dem attesa nel prossimo Senato, ci sono buone possibilità che uno dei seggi sia il suo.

«Perché il Pd? Mi riconosco sicuramente nei valori e ideali di impegno sociale», ha spiegato dopo l’annuncio della candidatura. Saper maneggiare un microscopio aiuta, quando si cercano valori e ideali nella tonnara delle candidature dem. L’altro obiettivo utile è quello delle telecamere che spesso lo hanno inquadrato negli studi televisivi. Le classifiche sulle presenze mediatiche dei virologi lo hanno visto regolarmente ai primissimi posti, nella parte del fautore di un approccio rigido alla pandemia. Se Letta cercava un volto noto al pubblico dei talk show, quello di Crisanti è perfetto.

Lo scienziato non è un completo neofita: collaborando con la sanità leghista, in Veneto Crisanti ha saputo organizzare la più efficiente rete di test durante la pandemia mentre nella vicina Lombardia si moriva come mosche prima di ricevere un tampone. Con una carriera accademica divisa tra l’università di Padova e l’Imperial College di Londra, lo scienziato è anche un buon testimonial per gli italiani all’estero che dovranno votarlo. Basterà? La legislatura che arriva non sarà una passeggiata: i parlamentari, un terzo in meno di oggi, tra aula e commissioni saranno attesi a un superlavoro inconciliabile con una carriera accademica, figuriamoci con due.

In Senato, Crisanti avrebbe potuto fare squadra con l’epidemiologo Lopalco, altro rigorista, che Articolo Uno aveva proposto per la lista Progressisti e Democratici in Puglia. Ma la sua candidatura, non l’unica, sembra saltata all’ultimo. Sarà comunque più difficile mettersi d’accordo con l’Unione Popolare di De Magistris, che se arriverà in Parlamento proporrà una commissione d’inchiesta parlamentare che, tra le altre cose, dovrebbe occuparsi della «verifica dell’utilizzo e dell’efficacia dei vaccini e degli effetti collaterali dello stesso», come ha scritto l’ex-pm su Facebook.

Una strizzatina d’occhio al malcontento no vax oggi inseguito soprattutto da destra. In primis da Salvini e Meloni, che hanno preso le distanze dall’altra virostar Matteo Bassetti, vicino alla destra forcaiola ma fortemente pro-vax, che aveva dato la sua disponibilità per un ruolo al ministero della salute. Poi ci sono una miriade di liste e microliste sovraniste, rossobrune e regolarmente contrarie ai vaccini. L’unica con qualche chance di superare lo sbarramento del 3% è Italexit di Gianluigi Paragone. Che il 25 settembre, firme permettendo, schiererà alcuni nomi pesanti del sottobosco novax e nopass come Andrea Stramezzi e Giovanni Frajese (già sospesi dall’ordine dei medici) e l’ex-portuale triestino Stefano Puzzer.

Lo scontro sui vaccini dilagato sui social e nei talk show rischia così di monopolizzare anche la campagna elettorale. Un pericolo che piace a molti, a destra e anche a sinistra: la polarizzazione del dibattito finora ha consentito di eludere temi più sostanziali per la nostra salute come il mancato rilancio della sanità pubblica nonostante i fondi del Pnrr. Di cui, con queste premesse, fino al 25 settembre si parlerà pochissimo.