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In Arizona Trump chiama a raccolta la «sua» destra

In Arizona Trump chiama a raccolta la «sua» destraTrump il 6 gennaio 2021 – Jacquelyn Martin/Ap

Stati uniti Ieri notte il comizio per ribadire la menzogna del furto elettorale. Il suo primo discorso pubblico dall’attacco a Capitol Hill, con cui spostare l’attenzione dall’inchiesta sul 6 gennaio e quella sui bilanci della Trump Organization

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 gennaio 2022

«Vi aspetto tutti in Arizona, un sacco di argomenti da discutere, incluse le elezioni truccate del 2020». E poi le fake news sulla Grande Bugia, i media corrotti, il disastro in Afghanistan, l’inflazione, ma soprattutto «l’improvvisa mancanza di rispetto per la nostra nazione e i suoi leader». È tornato sul luogo del delitto, Donald Trump. Nel suo primo comizio da quando il trumpismo ha assaltato il Campidoglio e poi evacuato la Casa bianca, l’ex presidente è ripartito da dove si era interrotto, cioè dalla montagna di panzane sulla vittoria elettorale rubata. E ieri sera (nella notte ora italiana) si è sciroppato tutti i 3.600 chilometri che separano il villone-quartier generale di Mar-a-Lago in Florida dalla ridente cittadina di Florence in Arizona, per salire un’altra volta su un palco e suonare la stessa canzone.

IL COMUNICATO diffuso dalla sua portavoce ha fugato ogni dubbio residuo sulla volontà di Trump di battere sul tasto del voto rubato. Non c’erano molte possibilità che finisse diversamente: da oltre un anno è il solo argomento sul tavolo dei repubblicani, che The Donald ha ulteriormente radicalizzato – se mai era possibile – proprio pestando sull’unico tasto del furto elettorale, trasformando così la “sua” destra da vincente nel proprio campo a sola e unica destra rimasta. E così Florence, 25mila abitanti, principale problema tutti quei mangiafagioli illegali dal Messico, è stata invasa da un esercito di network tv e dall’immancabile diretta YouTube di Rsbn (Right Side Broadcasting Network), che da sei anni segue Trump a ogni comizio – e così ha rastrellato un milione e mezzo di iscritti.

Del resto Trump lo aveva promesso il 6 gennaio, appena il presidente Joe Biden aveva finito di dichiarare guerra a quelli «che avevano puntato un pugnale alla gola della democrazia americana», commemorando l’immonda invasione del Campidoglio. Quel giorno Trump aveva disdetto la conferenza stampa di replica, determinato un’imbarazzante fuga di deputati e senatori repubblicani e dato appuntamento ai sostenitori nell’Arizona che il prossimo novembre deve votare un senatore, nove deputati e tutte le cariche statali. Quello al senato era il seggio di John McCain. C’era una volta una destra decente.

A questo comizio, Trump è arrivato fuggendo dalle inchieste aperte su quell’aggressione violenta di Capitol Hill, e sul suo ruolo in particolare – di passaggio, anche dall’inchiesta newyorkese sugli allegri bilanci della Trump Organization. Insistere sull’ossessione elettorale punta proprio a delegittimare le indagini, che lo tallonano ormai da vicino. In questo anno, però, Donald ha efficientemente fatto a pezzi ogni repubblicano che si sia mai azzardato a negare il Grande Furto Elettorale. Tre dei dieci deputati repubblicani che votarono per l’impeachment hanno già detto che non si ricandideranno, tutti i senatori che avevano espresso dubbi si sono affrettati a rimangiarseli, tutti i candidati al Senato e alla Camera sono in corso di selezione sulla base della sola fedeltà alla menzogna delle elezioni rubate.

E LA GRANDE ARMA di Biden contro le nuove leggi elettorali repubblicane è stata demolita da una sola senatrice democratica, Kyrsten Sinema, che l’altro giorno ha tolto il suo decisivo sostegno – proprio come un solo senatore, l’altro democratico-per-modo-di-dire Joe Manchin, aveva affondato il grande piano di Biden per la ripresa economica.
Il presidente fatto a pezzi da due sole, prevedibilissime defezioni, l’ex presidente impegnato a scampare ai giudici versando benzina su un incendio. La democrazia americana ha fatto sua l’ultima frase di George Floyd: «I can’t breathe». Non respiro.

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