In una domenica di inizio agosto, calda e umida, una folla si è radunata in piazza Habima a Tel Aviv per una manifestazione organizzata per ragioni ben diverse da quelle legate alla protesta contro la riforma giudiziaria e in difesa della democrazia che ha reso simbolico questo luogo. In maggioranza c’erano palestinesi d’Israele ma anche ebrei. Ragazzi e adulti, uomini e tante donne, non poche della quali velate. Portavano cartelli in arabo ed ebraico con slogan come «Paghiamo le tasse, non il pizzo».

Poi è partita la «Marcia dei Morti», con decine di giovani accanto a bare bianche. È stata la protesta più rilevante organizzata dalla società civile araba contro l’inazione del governo Netanyahu nei confronti della criminalità che miete vittime ormai ogni giorno nelle città e nei villaggi arabi in Israele. «Voglio che la polizia faccia rispettare la legge per tutti – ha aggiunto Naja Nasrallah, un’attivista – voglio che smantelli le organizzazioni criminali nella comunità araba. Non vogliamo essere cittadini di seconda classe».

BEN POCHI i leader politici ebrei che hanno partecipato a questo grido di dolore. Si è intravista la presidente del partito laburista Merav Michael e gli ex parlamentari Michael Melchior, Yair Golan e Mossi Ras. «È una vergogna il disinteresse delle autorità. Lo Stato deve sradicare questi fenomeni, non può restare a guardare», spiegava Daniel Spitz, 72 anni, ai giornalisti.

Non la pensano allo stesso modo il governo Netanyahu e i comandi delle forze di polizia e di intelligence. Da quella afosa domenica sera non è cambiato nulla se non il numero dei morti ammazzati, 158 in otto mesi, per mano della criminalità o in vendette tra famiglie.

Appena pochi giorni fa c’è stato un massacro nella cittadina a maggioranza drusa di Abu San, alle porte di San Giovanni d’Acri: quattro persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco, tra cui Ghazi Saab un politico locale. «Lo Stato e le forze dell’ordine non possono chiudere un occhio davanti al dilagante terrore criminale. È responsabilità esclusiva del governo e delle forze dell’ordine», ha protestato il leader spirituale dei drusi Sheikh Mubarak Tari.

Il capo dell’opposizione, il centrista Yair Lapid, ha attribuito la responsabilità al ministro Ben Gir e al governo di estrema destra. «Queste uccisioni, la criminalità nei centri arabi, non sono un fenomeno di questi mesi. C’erano anche quando governava Lapid e quando erano al potere altri primi ministri» ci spiega Fares, un insegnante di Haifa.

«GLI EBREI – prosegue – ci chiedono perché non partecipiamo alle manifestazioni per la democrazia ma la democrazia in questo paese è ebraica, quindi per loro. Siamo cittadini di seconda classe, da noi la polizia dello Stato ebraico non manda i suoi agenti a combattere i criminali».

Sino ad oggi è stata minima la partecipazione di cittadini arabi ai raduni contro la riforma della giustizia con centinaia di migliaia di persone che paralizzano il centro di Tel Aviv e di altre città. «Per i cittadini arabi – ci spiega l’analista Nadim Nasce, presidente dell’associazione Amli – lo scontro sulla giustizia è una lotta per l’egemonia tra ebrei laici, spesso ashkenaziti, che si rifanno all’Israele dei primi 40 anni e gli altri con varie origini che oggi sono al governo. I palestinesi d’Israele vogliono la democrazia ma non quella ebraica. Chiedono che Israele non sia più lo Stato degli ebrei ma lo Stato di tutti i suoi cittadini. Non si appassionano allo scontro in atto, perché punta a conservare o a scardinare lo status quo che a loro comunque non va bene».