Visioni

Immaginario e note militanti oltre le barriere

Immaginario e note militanti oltre le barriereMilitant A a Genova 2001 – foto di Stefano Montesi

Venti di Genova. Tracce e percorsi Nei 90 si trovava il senso politico nelle canzoni. Al G8 tanti artisti hanno dedicato brani per ricordare ma anche per elaborare il trauma. Le voci di chi c’era

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 luglio 2021

Negli anni ’90 si trovava il senso politico anche attraverso le canzoni. Un fiorire di musica militante, in cui i diritti erano cantati, le lotte e l’antifascismo si legavano ai volti della musica indipendente, perfino il concerto del Primo Maggio sembrava un mezzo per sognare quel cambiamento. Al G8 di Genova tanti artisti hanno dedicato brani per ricordare ma anche per elaborare quel trauma, raccolte come Piazza Carlo Giuliani ragazzo (2001, Edizioni Ishtar) devoluto a favore di opere di solidarietà internazionale o GE2001 (2005, il manifesto dischi) per sostenere le spese legali dei manifestanti, ma anche singoli brani come Piazza Alimonda di Guccini, Genova del Teatro degli Orrori o Fine di Zamboni. Ma la lista sarebbe veramente lunga. Interessante però è sentire alcune voci dei musicisti che, oltre ad aver raccontato Genova nei brani, erano presenti alla manifestazione.

I 99 POSSE suonarono il 19 luglio in piazzale Kennedy davanti a 20mila persone, in apertura di Manu Chao. Restarono fino al 21 dopo il corteo, il frontman ‘O Zulù ricorda: «Qualcosa di strano l’abbiamo percepito subito, eravamo con due mezzi, 14 persone, arrivavamo da un concerto a Torino e avevamo comprato in un negozio di sport caschi e salvagenti per ripararci. Nel furgone qualcuno li indossava, pensavamo ci perquisissero fino al midollo, invece fermavano le famiglie e a noi, che sembravano i famigerati black bloc, nemmeno ci fecero rallentare». I 99 Posse eseguirono pezzi come Rigurgito antifascista e S’addà appiccià: «C’era tantissima gioia, l’idea ci parve rivoluzionaria, resistere sostenendo l’impatto. Le mie ultime parole sul palco furono: domani tutti al corteo, proteggetevi perché nessuno si deve fare male. Non avevamo messo in conto un ritorno così violento degli anni ’70 nonostante magari l’avessimo anche auspicato, eravamo impreparati». Cos’era allora il pacifismo? Gli aneddoti su quei giorni non mancano: «Al Carlini trovammo una decina di scatoloni, mittente l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale; avevano inviato la loro aviazione. Migliaia di aeroplanini di carta. In una delle prime azioni simboliche fatte dalla EZLN, annunciarono un bombardamento aereo di una base militare e la notte lanciarono dalla recinzione gli aeroplani fatti dai bambini zapatisti. Il 20 luglio ero esteticamente un black bloc, tutto di nero, nel mio zaino c’erano gli aeroplani di carta: sono rimasti lì a terra, insieme a Carlo».
Gli Assalti Frontali sono stati una delle costole di quell’incredibile fenomeno politico/musicale delle Posse, il cantante Militant A partecipò ai 3 giorni clou: «Il 20 sono uscito dal Carlini con i disobbedienti, ero nelle prime file, spingevo un carrello carico di maschere antigas e protezioni, nella carica i carabinieri utilizzarono gas mischiati col cianuro, sembrava di morire, ma siamo riusciti a respingerli ed è iniziato un pomeriggio di guerriglia proseguita il giorno successivo. Alla fine del 21, stremati, arrivammo alla stazione e sentimmo le sirene, andavano alla Diaz, uno dei punti di incontro dei compagni. Pensavamo a una perquisizione, poi abbiamo saputo del massacro».

TANTI SI SONO riportati a casa uno stress post traumatico, continuava la paura di incrociare una pattuglia. Nel brano Rotta indipendente Militant A racconta (anche) come i centri sociali a Genova hanno marciato con il resto del Paese: «Per tanto tempo ho avuto gli incubi, era la paura di morire che c’hanno fatto vivere. Ho anche ricordi esaltanti, avevamo capito che i centri sociali dovevano mischiarsi alla società per portare il conflitto ovunque, soprattutto dove si decideva il nostro futuro. C’era un’atmosfera di partecipazione, un desiderio di protagonismo collettivo, la musica era davvero la colonna sonora di una realtà infuocata. Mentre ci preparavamo al corteo dalle tende vicine sentivamo le canzoni del nostro disco Banditi, uscito due anni prima. Il 20 è 21 luglio però non c’era nessuna musica al corteo, c’era tensione e i compagni che davano indicazioni su come muoversi. La nostra sfida era stata portata a un livello più alto. I sogni di quella generazione e delle successive vennero repressi, il mondo della musica prese posizione e partecipò ma piano piano la disillusione prese piede. Dopo c’è stato l’11 settembre, la guerra, il crack delle banche e la crisi economica del 2008… Anche l’immaginario musicale ne ha risentito, è cominciato un periodo individualista e disincantato».
Alessio Lega non aveva ancora pubblicato il suo primo disco, andò come militante anarchico e sindacale col pullman dalla CUB. Vide l’apocalisse: «Con una battuta dico che a Genova sono andato per essere suonato e gli anni successivi per suonare. Tornando mi sono reso conto di quanto fossi vicino a Piazza Alimonda al momento dello sparo. Il panico e il terrore più grande della mia vita l’ho provato sabato, quando la manifestazione fu spezzata, compressa e selvaggiamente repressa: non si vedeva alcuna via di fuga, essere massacrati o scamparsela era solo un caso». Alessio è autore del brano Dall’ultima galleria del 2004: «Dal 1977 non sparavano a un militante in strada. Quella selvaggia repressione ha creato un trauma che non è mai stato veramente analizzato. La musica non fa eccezione malgrado molte canzoni ci testimoniano la rabbia e lo sgomento, ma anche la speranza di quel momento. Se ne raccogliamo pazientemente i frammenti, possiamo ricostruire il segno di una saldatura con le lotte degli anni settanta e l’ipotesi di un rilancio mai avvenuto, a parte pochi esempi come la Val di Susa».
Sullo sfondo appare la parte d’Italia che chiedeva d’essere ascoltata, ma resta Genova come simbolo. I genovesi Meganoidi suonarono il 18 luglio, Luca Guercio, chitarrista e trombettista della band: «Genova è una città in cui le ferite non si rimarginano mai perché non dimentichiamo, siamo silenziosi solo perché non vogliamo che le parole siano etichettate come sfogo, ma devono essere riconosciute come lucide testimonianze, sia nella vita che nell’arte».

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