Il treno degli elefanti
Storie La fine del Ringling Bros. & Barnum & Bailey Circus (l’ultimo spettacolo sarà il 21 maggio a Uniondale, New York) è l’occasione per ripassare l’epopea del tendone americano
Storie La fine del Ringling Bros. & Barnum & Bailey Circus (l’ultimo spettacolo sarà il 21 maggio a Uniondale, New York) è l’occasione per ripassare l’epopea del tendone americano
Prima della promessa di un graduale ritiro degli elefanti dagli spettacoli, l’arrivo del grande circo itinerante Ringling Bros. & Barnum & Bailey a New York veniva annunciato, ancora in tempi recenti, da una parata di pachidermi che sfilavano sotto il Midtown Tunnel.
D’altronde, l’epopea del tendone americano deve molta della sua strabiliante fortuna proprio agli elefanti: se in Europa, alle origini, ci furono cavalli e cavalieri che mostravano eleganti volteggi e acrobazie come l’ufficiale Astley aveva insegnato, nel selvaggio West tutto iniziò – e poi continuò – con l’acquisto di un elefante: fu infatti Hackaliah Bailey nel 1818 ad assicurarsi un esemplare di femmina africana per mille dollari: la esibì durante tutta l’estate in una tenda ambulante.
Si chiamava Old Bet e fece una brutta fine: nel bel mezzo di un tour, venne abbattuta a fucilate da un fattore metodista, inferocito di fronte al fatto che una bestia si fosse trasformata in una macchina sputa-soldi.
UNA PASSIONE questa per i pachidermi che evidentemente doveva aver conquistato largamente il pubblico se, molti anni dopo, nel 1882, un impresario come Phineas Taylor Barnum – che già aveva al suo attivo diverse imprese stupefacenti – strappò allo zoo di Londra l’attrazione principale per farla viaggiare oltreoceano, insensibile alle suppliche che centomila bambini inviarono alla regina Vittoria nel tentativo di scongiurare l’allontamento del loro beniamino da Regents Park: si chiamava Jumbo ed era un elefante dalle proporzioni mastodontiche.
Morì prima del previsto, schiacciato tra due vagoni, ma Barnum, il più grande pubblicitario di tutti i tempi, riuscì a sfruttare pure il suo scheletro.
IN JUMBO (la cui eco dev’essere giunta anche alle orecchie di Walt Disney, dato che la madre di Dumbo, l’elefantino muto, porta lo stesso nome) si possono rintracciare i due elementi fondanti della saga del circo americano: il gigantismo e la ferrovia.
Senza lo sviluppo dei trasporti su rotaie non ci sarebbe stato il circo itinerante come l’abbiamo conosciuto: mentre in Europa si davano spettacoli in luoghi permanenti, intorno agli anni ’20 dell’Ottocento in America animali e acrobati cominciavano a viaggiare sui treni per coprire le immense distanze di quel territorio.
Fra i primi impresari ambulanti dello chapiteau (il tendone), pur se ancora di dimensioni modeste, ci fu Aaron Turner, un ex calzolaio che si improvvisò saltimbanco: presto a lui si unì anche un giovane Barnum che proprio in quegli anni spopolava con l’attrazione della schiava nera: la spacciava per nutrice di George Washington e le affibbiava un’età prodigiosa di 161 anni. Quando morì, nel 1836, l’autopsia stabilì che in realtà aveva appena compiuto ottant’anni.
A METÀ DEL XIX SECOLO, uomini d’affari e grandi comunicatori scorrazzavano per le praterie piantando qua e là i loro tendoni (c’era il circo di Dan Rice, quello di Robinson e c’era anche chi, come il farmacista Gilbert R. Spaulding preferisse spostarsi su corsi acqua con il suo Floating Palace).
Ma lo spettacolo con le proporzioni titaniche che ha segnato la storia del circo americano si deve ancora una volta a Barnum & soci. Nacque nel 1871 quando lo showman si unì a William Cameron Coup e a Dan Castello – l’afflusso di capitali freschi favorì l’espandersi di questa forma di spettacolo e anche del battage pubblicitario che l’accompagnava -, sviluppando il tendone con quattro alberi e le tre piste per le esibizioni di animali e acrobati, dando vita ai numeri sincronizzati. Era nato il P.T. Barnum’s Great Traveling Museum, Menagerie, Caravan and Hippodrome.
L’impresario del Connecticut, che era partito come smaliziato «espositore di prodigi umani» – donne barbute, finte sirene, Zip, il celebre nano Tom Thumb – e che dirigeva il famoso American Museum fondato nel 1842, si stava accomodando felicemente sul trono circense, pronto a dar vita al The Greatest Show on Earth. Dall’altra parte, Coup che pure guadagnò somme non indifferenti sfruttando l’onda-Barnum (nel 1855 la sua autobiografia aveva venduto cinquecentomila copie nel giro di pochissimo tempo), si preparava ad eclissarsi, in rovina: spese tutto il suo denaro nella creazione dell’Acquario di New York, che fallì.
L’ALTRA GRANDIOSA macchina delle meraviglie che incantava il pubblico americano era quella messa su da Chilly Billy Cole. Figlio di un contorsionista e di una amazzone inglesi, era un formidabile organizzatore di tournée dall’Australia alla California, degno rivale di Barnum in piena competizione con i suoi freakshow di Dude l’uomo scheletro o Zip il selvaggio della giungla, pure imbattibili. Cole, oltretutto, non era l’unico «avversario» che si avventurava su rotaie: la concorrenza circense era spietata quasi come quella dei pionieri e cercatori d’oro.
Dopo il 1875 – ormai separato da Coup e in seguito al rovescio di fortuna dovuto a un incendio – Barnum per evitare altri colpi bassi e per non rimanere indietro, prese a corteggiare il Bailey Circus, sperando di neutralizzare così la sfida sulla imponenza degli spettacoli. Nel 1887, reduce dall’ennesimo fuoco distruttore divampato nei suoi quartieri generali a Bridgeport, riuscì a stipulare l’alleanza storica, creando con James Anthony Bailey una specie di multinazionale circense che impiegava migliaia di persone e centinaia di animali sotto il tendone.
LE PARATE che annunciavano l’arrivo del circo in città paralizzavano le strade per ore. Quando – scomparso ormai Barnum – Bailey sbarcò in Europa strabiliò gli spettatori con numeri che contavano su settanta cavalli e almeno dodici elefanti contemporaneamente in pista. In più, c’era il serraglio e l’esposizione dei fenomeni da baraccone. «Noi abbelliremo il più grande spettacolo del mondo. Abbiamo l’intenzione di inaugurare prossimamente musei di curiosità naturali e artificiali in tutte le grandi città e aggiungeremo a ciascun museo una sala per gli esperimenti scientifici, per le letture storiche, per le pantomime e per gli spettacoli divertenti», c’era scritto sul loro manifesto redatto nel 1887.
Alla morte di Bailey – avvenuta nel 1907 – l’impresa fu rilevata dal Ringling Brothers Circus, e nel 1919 i due circhi si fusero nel Ringling Bros & Barnum & Bailey Circus che ha continuato la sua storia fino ai giorni nostri, pur cambiando proprietari e nel susseguirsi di generazioni. L’eredità arrivava da lontano, da quell’August Rüngeling, sellaio tedesco emigrato in America (che cambiò il suo nome in un più pronunciabile «Ringling») e che insieme alla moglie Salome mise al mondo sette figli, fornendo all’arte circense una delle sue famiglie leggendarie.
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