Dice Conte: «Il decreto aiuti bis è già legge, è in Gazzetta ufficiale. Non è vero che il Movimento 5 Stelle lo sta bloccando, ma è un dovere morale per lo stato risolvere il problema dello sblocco dei crediti incagliati del superbonus edilizia per 30-40mila aziende che stanno fallendo». È vero che il decreto che riguarda gli aiuti a famiglie e aziende per il caro carburanti, già esauriti tant’è che il governo ne sta preparando un terzo, è in vigore da quando il 9 agosto è stato emanato. Ma è anche vero che se non dovesse essere convertito prima delle elezioni decadrebbe, perché il parlamento non si riconvocherebbe entro la scadenza dei 60 giorni. Dunque si tratta di chiudere entro la settimana. Già non è facile per il capi partito impegnati in campagna elettorale convergere a Roma per i lavori parlamentari, impossibile sarebbe andare agli ultimi giorni di campagna la prossima settimana. Anche se Salvini e Renzi (al senato), Meloni e Letta (alla camera) non perderanno l’occasione di portare nelle aule i loro temi di propaganda su energia e bollette.

Il decreto era in calendario per oggi nell’aula del senato e giovedì in quella della camera. Ma ancora ieri sera non era stata raggiunta un’intesa sul superbonus così da sbloccare lo stallo. Il Movimento 5 Stelle insiste con il suo emendamento che in pratica passa sopra le regole più restrittive che sono state via via previste per la cessione dei crediti per limitare le truffe, regole che anche i 5 Stelle hanno alla fine votato facendo parte della maggioranza Draghi. Ed è proprio il presidente del Consiglio a non aver mai fatto mistero di considerare sbagliata quella norma bandiera dei grillini che concede una detrazione, cedibile come credito verso lo stato, del 110% degli importi dei lavori di adeguamento sismico ed efficentamento energetico nelle abitazioni. Draghi la giudica troppo dispendiosa – oltre 21 miliardi fin qui – e troppo soggetta a truffe, avendo peraltro contribuito in misura determinante ad alzare i prezzi di materiale e lavori edilizi.

Il ministro per i rapporti con il parlamento Federico D’Incà e la vice ministra all’economia Laura Castelli – peraltro entrambi ex dei 5 Stelle – lavorano da tempo al possibile compromesso ma a ieri sera non erano riusciti a superare le rigidità di Conte e di palazzo Chigi. Al fondo è un match tra il presidente del Consiglio e il suo predecessore oggi tornato «avvocato del popolo», che infatti ieri è tornato a puntare Draghi nei suoi comizi. Il governo ha fatto solo sondaggi con i parlamentari di maggioranza, senza ancora depositare la proposta formale. Che a quanto sembra dovrebbe essere mantenere la responsabilità solidale tra chi cede il credito e chi lo acquista solo nei casi di dolo e colpa grave oppure se chi ha acquistato il credito (sul quale viene scoperta una frode) non ha fatto adeguati controlli. Altro punto dirimente è stabilire quanto a ritroso si applicano queste norme che sarebbero di fatto una sanatoria (un’ipotesi e da maggio).

Ieri i lavori della commissione al senato, propedeutici all’aula che all’origine era convocata per oggi, sono slittati più volte fino a tardi. Il tempo sta per scadere anche perché solo dopo la conversione del decreto le camere potranno approvare l’assestamento di bilancio con il quale il governo vuole recuperare risorse per un terzo decreto aiuti. Decreto che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare prima della partenza di Draghi per gli Usa, la prossima settimana. Un intervento sicuramente sopra i 10 miliardi per altri bonus e crediti di imposta che, stavolta, toccherà al nuovo parlamento convertire.