Garrick Harmon è uno degli uomini più importanti nelle gerarchie militari americane. Comanda il centro di assistenza alla sicurezza, l’organismo che gestisce gli aiuti bellici degli Stati uniti ai paesi stranieri.

Dalla sua opinione dipende, insomma, il sostegno all’esercito ucraino, ormai vicino ai 25 miliardi di dollari. I movimenti di Harmon dovrebbero essere coperti dal più stretto riserbo. Eppure a Kiev hanno rivelato che il generale si trova «da alcuni giorni» nel paese, dopo nuove e preoccupanti rivelazioni sul flusso di armi che attraversa il paese.

Secondo un’inchiesta del network americano Cbs soltanto il 30-40% delle forniture finirebbe nel Donbass, lungo la linea su cui il fronte si è attestato. Il resto, nella migliore delle ipotesi, sarebbe fermo nei centri di smistamento allestiti in Europa, oppure nei depositi nella parte ovest dell’Ucraina.

CHE GLI STATI UNITI abbiano deciso di mandare sul campo Harmon in persona è una pessima notizia per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Negli ultimi mesi lo scetticismo degli alleati sul controllo delle risorse che permettono al suo esercito di rimanere in piedi è gradualmente cresciuto.

Il generale statunitense Garrick Harmon

Ad aprile l’Europol ha messo in guardia sul pericolo che le armi trasferite all’Ucraina possano essere rivendute a organizzazioni criminali. A metà luglio alcuni governi della Nato hanno chiesto di introdurre un sistema di tracciamento. Le rassicurazioni avanzate di volta in volta dal ministro della Difesa, Oleksander Reznikov, e dal suo collega degli Esteri, Dmytro Kuleba, non sembrano avere sortito l’effetto sperato.

L’arrivo di Harmon rappresenta, così, il più grande ed evidente segnale della CasabBianca a Zelensky. In privato, ha scritto la scorsa settimana l’editorialista del New York Times Thomas Friedman, i funzionari americani sono molto più preoccupati per la leadership ucraina di quanto facciano intendere: «C’è profonda sfiducia nei confronti di Zelensky».

Il sostegno concesso all’Ucraina ha ben pochi precedenti. Ai 23 miliardi di dollari in aiuti militari ricevuti da Washington occorre aggiungere i quattro della Gran Bretagna, i due della Polonia e il miliardo e mezzo della Germania.

OLTRE AL PACCHETTO straordinario da undici miliardi di euro che l’Unione europea ha approvato per garantire al paese stabilità finanziaria. I dubbi dell’amministrazione americana sembrano sostanzialmente due. Il primo riguarda la tenuta dell’Ucraina di fronte alla crisi: quanto a lungo può reggere il sistema Zelensky? Il mese scorso il capo dei servizi segreti, Ivan Bakanov, e la numero uno della procura generale, Irina Venediktova, sono stati esclusi dai loro posti con decreti presidenziali. Zelensky ha sostenuto l’ipotesi del tradimento, citando l’enorme numero di casi aperti contro funzionari dello stato dall’inizio della guerra.

Pare sempre più credibile, però, che la decisione abbia a che fare con il poderoso traffico di armi e denaro verso l’Ucraina. La seconda questione è ancora più profonda: quant’è vicino Zelensky al punto di vista americano sul futuro dell’Ucraina? Le tensioni con Washington sono cominciate ben prima del conflitto.

Tra il 2019 e il 2020 le autorità americane hanno aperto diversi filoni di inchiesta sugli affari del miliardario Ihor Kolomoyskiy, che di Zelensky è considerato il padrino politico. L’anno scorso il Dipartimento di stato ha inserito lui e i suoi familiari in black list.

ALTRI SCAMBI non esattamente amichevoli sono avvenuti alla vigilia dell’invasione. Gli Stati uniti sostenevano che i russi con la loro imminente offensiva avrebbero ridotto l’esercito ucraino a pochi nuclei di resistenza. Zelensky ha smentito a lungo la possibilità di una invasione su larga scala e ha accusato apertamente gli americani di «alzare la tensione».

Il caso Harmon è l’ultimo episodio di una relazione difficile. Da Kiev, come detto, hanno fatto sapere che il generale è in Ucraina da «alcuni giorni». Il suo viaggio avrebbe preceduto, quindi, di poche ore l’inchiesta della Cbs. Le proteste del governo contro quel reportage sono state forti e il network ha deciso di rimuoverlo dal suo sito alla luce di «nuovi elementi».

Ora, ha scritto Kuleba sul suo profilo Twitter, «servirebbe un’inchiesta internazionale per stabilire chi lo ha permesso e perché». I movimenti americani sono un avvertimento anche ai russi.

Prima di assumere l’incarico che ricopre oggi, Harmon ha costruito le difese della Nato nei paesi Baltici, ha avuto rapporti con la Georgia, e ha servito come attaché militare all’ambasciata a Mosca. È, insomma, una figura chiave nel confronto con il Cremlino.