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Il Sud che non si astiene vota Movimento 5S

Il Sud che non si astiene vota Movimento 5S – Aleandro Biagianti

Voto Il messaggio è chiaro: la maggioranza della popolazione meridionale non crede più che con il voto si possa cambiare la società, migliorare la propria condizione, incidere sulle stanze del potere.

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 settembre 2022

Storicamente la partecipazione al voto nel Mezzogiorno è sempre stata inferiore a quella del Centro-Nord, ma questa volta la percentuale dei votanti è scesa sotto il 50 per cento, un segnale che non può essere ignorato. L’astensionismo è sintomo di un distacco dei cittadini dalle istituzioni rappresentative e, allo stesso tempo, è un cancro che corrode silenziosamente la democrazia parlamentare. Il messaggio è chiaro: la maggioranza della popolazione meridionale non crede più che con il voto si possa cambiare la società, migliorare la propria condizione, incidere sulle stanze del potere. Questa convinzione è cresciuta nel tempo, da quando le grandi visioni della società, le ideologie erano radicate e interiorizzate al punto che si votava per un partito e non per una persona. Ma, proprio nel Mezzogiorno, questa modalità è saltata vistosamente già negli anni ’80 del secolo scorso, con un voto alla singola persona, per stima, per ricambiare un favore, per la promessa di un posto di lavoro, indipendentemente dal partito.

Cosa è cambiato? Semplicemente si è ridotto del 37 per cento il numero di deputati e senatori, per cui ci sono stati meno concorrenti nel mercato elettorale, e quindi un minor numero di galoppini alla ricerca di voti. Prendiamo il caso della Calabria, la regione con il record negativo di votanti. Non c’erano big capaci di mettere in moto macchine elettorali potenti, al contrario di Messina e provincia, con il 67 per cento dei votanti, dove Cateno de Luca, candidato alla presidenza della Regione Sicilia, è riuscito a trascinare al voto la città dove è stato sindaco e dove è tutt’ora uno shadow mayor, che continua a governare il territorio dello Stretto.

Chi si è recato al seggio, salvo una esigua minoranza di “reduci” che vota ancora per il partito chiunque si presenti, oltre al voto personale ha votato per i propri interessi. Il fatto che il M5S abbia avuto un grande risultato nel Mezzogiorno ha fatto dire a tanti analisti e commentatori politici che i meridionali non vogliono lavoro e sviluppo, ma assistenzialismo. Durante la campagna elettorale quasi tutte le forze politiche (eccetto SI, Up, e parte del Pd) hanno attaccato violentemente il Reddito di Cittadinanza. Non parliamo delle organizzazioni padronali che imputano al RdC la mancanza di lavoratori.

Hanno ragione: nessuno vuole più lavorare per pochi soldi e dieci ore di lavoro al giorno se può prendere il RdC, anche se mediamente è solo di 517 euro. Provate a chiedere qual è il salario orario a commesse e camerieri delle città del Sud. O ai giovani apprendisti, stagisti, sfruttati impunemente da stimati professionisti che non osano sporcarsi le mani col vil denaro. E non parliamo dei braccianti africani che se potessero accedere al RdC non morirebbero di fatica per venticinque euro al giorno (di cui cinque vanno al caporale).

Come scriveva magistralmente Karl Polanyi nel suo capolavoro “La grande trasformazione”, per nascere nel XVII secolo il mercato del lavoro era necessario che la gente sentisse “i morsi della fame”. Solo così avrebbe accettato di morire nelle miniere (età media della vita dei minatori era di 28 anni), nelle fabbriche umide e maleodoranti, per 12-14 ore al giorno per un salario da fame nera.

I meridionali che hanno votato per il M5S l’hanno fatto per difendere il loro diritto alla dignità del lavoro, per non essere più facilmente ricattabili: altro che voto di scambio! Il Mezzogiorno ha votato per un movimento-partito che ha fatto quanto nella sinistra radicale si era sempre predicato come obiettivo, anche su questo giornale, ma mai realizzato. Che poi vada migliorato, che vada distinto dalle politiche attive del lavoro, non c’è dubbio. Ma, in questa fase politica va difeso a denti stretti. E su questo terreno se il Pd volesse ricucire lo strappo potrebbe trovare un’occasione da non perdere.

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