Politica

Il successo di «Better Call Giuseppi». Il format per rompere il bipolarismo

Il successo di «Better Call Giuseppi». Il format per rompere il bipolarismoGiuseppe Conte – LaPresse

25 settembre La rimonta del Movimento 5 Stelle

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 settembre 2022

Quasi non credevano ai loro occhi, l’altra sera, attivisti e candidati del Movimento 5 Stelle riuniti in piazza Santi Apostoli per chiudere la campagna elettorale estiva.

Soltanto due mesi fa avevano subito una scissione pesante, il loro ex capo politico Luigi Di Maio si proponeva di prosciugarne il consenso e traslocarlo dentro la coalizione di centrosinistra. Il quadro politico, dopo la salita di Mario Draghi al Quirinale e l’accelerazione verso le urne che nessuno nel M5S si attendeva veramente, virava improvvisamente verso il bipolarismo. Complice la legge elettorale, il M5S pareva destinato all’angolo del quadro politico dopo la pazza legislatura dei 330 parlamentari ridottisi alla metà.

In pochi avrebbero previsto il recupero costante e inesorabile che oggi gli viene accreditato. Giuseppe Conte ha preso in mano il M5S e ha assunto pieni poteri. Il leader attendista, considerato dai detrattori troppo prudente e incapace di comprendere la differenza tra l’essere presidente del consiglio e il capo di un partito, ha mostrato un carattere decisionista inatteso.

Ha imposto a Beppe Grillo (del tutto assente in queste settimane di campagna elettorale) le regole per scegliere i candidati: ok la consultazione online delle parlamentarie, ma mano libera al leader per piazzare i suoi nei collegi sicuri e per introdurre gli esponenti della società civile. Prima che i sondaggi ne registrassero la rinascita, chi gli stava accanto ha cominciato a notare le piazze piene e l’empatia dell’avvocato con la gente. Il risultato finale potrebbe essere ancora più sorprendente, col M5S in grado di far saltare ancora una volta il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. E addirittura di conquistare collegi uninominali al Sud, dove è accreditato in larga parte come primo partito, è assottigliare la maggioranza delle destre.

Tutto ciò avviene perché il M5S ha cambiato format. Fino a cinque anni fa, il tratto determinante della sua narrazione riguardava il rapporto tra le gente e il palazzo, tra i cittadini e la Casta. Per scardinarlo, recitava la dottrina elaborata da Casaleggio, i 5 Stelle potevano disporre un’infrastruttura telematica che avrebbe trasformato gli eletti in meri esecutori della volontà degli iscritti. Dalla rete sarebbero arrivate le buone idee, diceva Gianroberto, che non sono «né di destra né di sinistra». La democrazia diretta come mera questione tecnica, aliena dai processi sociali.
Tutto ciò è saltato perché gli eletti in Parlamento sono entrati nei gangli del palazzo, conquistando autonomia e facendo spesso da contrappeso ai vertici. Ma il vecchio M5S è collassato anche per fattori tecnici: la piattaforma Rousseau si è rivelata una scatola vuota, un dispositivo inutilizzabile prima che ingannevole. Allora il M5S ha spostato il suo focus dalla democrazia al welfare, dalla questione della sovranità a quella della sicurezza sociale. A questo punto è entrato in scena il personaggio destinato ad aprire la terza stagione della serie grillina, dopo la prima all’opposizione e il sequel del governo a tutti i costi: «l’avvocato del popolo».

È ancora più o meno vietato, nel M5S, utilizzare la parola «sinistra»: si considera che questa sia ormai abusata e associata a storie del passato e credibilità consumate. Conte ha scelto da tempo l’aggettivo «progressista», che indica sì una scelta di campo ma vuole apparire meno impegnativo dal punto di vista ideologico. Tuttavia, una volta vinta la scommessa della sopravvivenza e guadagnato uno spazio politico non residuale, da lunedì prossimo, il M5S non potrà evitare di affrontare passaggi ulteriori.

Il primo riguarda proprio la collocazione politica. La scelta di presentarsi come «parte» e non come forza politica trasversale e interclassista: la difesa del welfare, del reddito e del salario minimo, ad esempio, può difficilmente essere credibile senza la tassazione dei grandi patrimoni. La seconda, forse ancora più radicale, ha a che fare con la costruzione di alleanze sociali. Fino a pochi anni fa il M5S faceva della propria autosufficienza un tratto distintivo: diffidava dei corpi intermedi, anche al di fuori dei partiti. Oggi quel tratto ideologico è scomparso ma resta un automatismo culturale che spesso rende impermeabile il M5S alla contaminazione con altre forze sociali.
I piani di Conte prevedono l’organizzazione di agorà tematiche su scala locale, aperte anche i non iscritti. Di sicuro questi dieci anni sul lotto volante del consenso dovrebbero avere insegnato al M5S che non basta mettere in piedi una macchina da campagna elettorale e azzeccare la chiave comunicativa per trovare stabilità e radicamento.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento