Qualcuno potrebbe dire: restituite Dario Franceschini all’Emilia Romagna. Così come Franceschini, da poco ministro della cultura del governo Renzi, provò a restituire (ma il termine giusto sarebbe scippare, visto che stanno lì legittimamente), le opere della collezione Farnese da Napoli a Parma. Ora l’emiliano Franceschini ha ottenuto di essere catapultato in uno dei pochissimi collegi uninominali abbastanza sicuri per il Pd, quello di Napoli e dintorni (Procida, capitale della cultura, Pompei, dove c’è un ritrovamento a settimana).

Cercando di far dimenticare quella vecchia intenzione a colpi di promesse ed eventi: dalla presentazione del suo libro al tappeto rosso per il film di Sorrentino alla parata dei ministri europei della cultura al progetto strampalato di trasferire la biblioteca nazionale: il ministro ha messo nel mirino il collegio napoletano da mesi. Da quando in città era più solida che altrove l’alleanza con i 5 Stelle e il seggio appariva blindato. Non è più così ma resta uno dei migliori, o dei meno peggiori, così da consentire a Franceschini di evitare lo smacco del 2018 quando fu battuto nell’uninominale da una leghista (e recuperato nel proporzionale). Allora era nella sua Ferrara.

Ma nel 2018 il ministro era candidato alla camera dei deputati, dove in effetti è sempre stato nelle ultime cinque legislature (dal 2001). Adesso è il capofila di un ritrovato interesse per l’aula di palazzo Madama. Il senato, da sempre considerato meno centrale per i lavori parlamentari, questa volta è ricercatissimo. Nel Pd si trasferiscono dalla camera al senato l’ex capogruppo Graziano Del Rio (collegio proporzionale tranquillo di Parma e Modena), il componente della segretaria nazionale Enrico Borghi (collegio proporzionale accessibile in Piemonte), il tesoriere nazionale Walter Verini (proporzionale in Umbria), il responsabile enti locali Francesco Boccia (proporzionale Puglia), il delegato d’aula Emanuele Fiano (in un collegio uninominale non facile a Milano-Sesto). Sono indirizzati al senato tre dei più vistosi nuovi acquisti delle liste Pd: l’economista Carlo Cottarelli (in Lombardia sia nell’uninominale che al proporzionale), l’ex segretaria Cgil Susanna Camusso (proporzionale in Campania 2) e l’ex segretaria Cisl Anna Maria Furlan (proporzionale sia Lazio 2 che Sicilia 1). E infine hanno scelto il senato due dei più stretti collaboratori di Enrico Letta: l’ex deputato Marco Meloni che da coordinatore del partito ha sovrainteso alla formazione delle liste (proporzionale in Sardegna) e l’ex commissario dell’Agcom Antonio Nicita che ha seguito la redazione del programma elettorale (proporzionale in Sicilia 2).

Ma qual è la ragione del rinnovato interesse per il senato? La principale ha a che vedere con il taglio dei parlamentari. I senatori eletti saranno molto pochi, duecento, e dunque il loro peso specifico crescerà. Nel nostro regime di bicameralismo paritario anche un piccolo gruppo – come rischia di essere quello del Pd – sarà determinante per la fiducia, o sfiducia, al governo. È molto probabile che i governi nasceranno e moriranno a palazzo Madama ed è certo che il destino dei provvedimenti di legge più importanti si deciderà con le fiducie al senato.

Non essendo stato approvata alcuna delle riforme di complemento al taglio dei parlamentari, la legge elettorale proporzionale e la modifica della base elettorale regionale, il senato è adesso terreno di caccia di pochi partiti: lo soglia di sbarramento effettiva sarà assai più alta del 3% nominale previsto dal Rosatellum. Ma una volta supera lo sbarramento, in virtù del minor numero di seggi da assegnare e di una maggiore resistenza a scavalcare i confini regionali, l’effetto flipper che è il terrore di tutti i candidati (quello per il quale con il Rosatellum è difficile prevedere il collegio di elezione) dovrebbe essere minore. Agli occhi dei candidati eccellenti, il senato appare questa volta il ramo del parlamento meno incerto e più pesante.