Il segreto industriale è anche privato
Doppio passo / 15 L’ossessivo e visionario Steve Jobs, dall’infanzia dolorosa. E Laurene Powell, imprenditrice, che con lui ha condiviso sogni hippie, pratiche zen e lavoro high-tech. Biologia e computer per una vita insieme, combinazione vincente
Doppio passo / 15 L’ossessivo e visionario Steve Jobs, dall’infanzia dolorosa. E Laurene Powell, imprenditrice, che con lui ha condiviso sogni hippie, pratiche zen e lavoro high-tech. Biologia e computer per una vita insieme, combinazione vincente
Visionario, geniale, opportunista, autoritario, anaffettivo. Gli aggettivi si sono sprecati per stigmatizzare il comportamento di Steve Jobs quando era in vita. Del cofondatore della Apple si conosce quasi tutto, dagli esordi alla prima cacciata dalla società che lo ha reso ricco e famoso, alle sue scorribande nel mondo degli affari, alla sua ossessione per il design, ma quasi nulla è trapelato sulla dimensione «privata», attorno alla quale Steve Jobs aveva eretto un muro invalicabile, al punto da far sottoscrivere accordi industriali ai suoi stretti collaboratori che impedivano di parlare di lui in pubblico.
Eppure una donna ha contato tanto: Laurene Powell. Tutti coloro che l’hanno conosciuta, la descrivono come una persona vivace, di una bellezza convenzionale. Moglie ombra dell’uomo di successo. «È stata la mia àncora», ha dichiarato più volte Jobs. Lettura stereotipata, che nega a questa donna l’intelligenza e le capacità relazionali che l’hanno e continuano a caratterizzarla, ora che svolge un’attività filantropica a favore dei ragazzi svantaggiati e dei diritti delle donne, come recita la pagina della sua fondazione.
Di lei si sa poco, perché Jobs ha sempre avuto una gestione certosina e rigida nei minimi particolari della propria privacy come testimoniano le pagine scritte da Walter Isaacson nel libro che meglio di altri ne racconta la vita (Steve Jobs, Mondadori). Nulla si doveva sapere, eccetto l’indirizzo della casa dove vivevano e il nome dei figli avuti nella loro relazione.
LA RISERVATEZZA non si applicava solo per la vita privata, ma anche ai progetti di lavoro. Jobs era un cultore del segreto industriale e della proprietà intellettuale. Anche su questo aspetto, ci sono vere e proprie leggende metropolitane sulle sue imposizioni ai dipendenti di non parlare, neppure in famiglia, dei progetti ai quali stavano lavorando. Un clima ossessivo e claustrofobico che era compensato, dicono i lavoratori che accedevano alle stock option (lo strato affluente dei lavoratori Apple), dal riconoscimento del loro valore e dalla consuetudine di Jobs di intrattenere con loro rapporti alla pari. E accordi sulla segretezza Steve Jobs ne ha imposti anche all’altro cofondatore di Apple, Steve Wozniak, che non lo violerà mai.
Per Jobs chi acquistava un computer marchiato Apple doveva rimanere fedele all’impresa e dipendere da essa sia per il software che per l’ordinaria manutenzione. Una vision che Wozniak certo non amava, impregnato come era dello spirito hacker della prima rivoluzione al silicio. Fu sconfitto, messo ai margini, ma mai cacciato, diventando un multimiliardario che poteva contare su un ufficio, nel caso volesse fare un giro nella sua Apple.
IMPRENDITORE METICOLOSO, al limite della paranoia, autoritario, Jobs alternava adesione alle filosofie orientali – lo zen, il confucianesimo e il taoismo sono state una calamita sin dalla gioventù – a uno spregiudicato e capitalistico spirito imprenditoriale, chiarendo così che l’Oriente può rendere, cosa che ha fatto, compatibile la produzione di plusvalore con la ricerca e la scoperta del sé. D’altronde, guardava con ammirazione gli sforzi di Giappone, Corea, Thailandia e Cina nel diventare grandi potenze industriali. Non rinnegava, comunque, la sua profonda adesione all’american way of life, seppure in salsa vegana. C’è però un aggettivo che lo faceva infuriare: misogino.
Per il giovane di belle speranze le donne che incontrava erano solo il «riposo del guerriero». Poteva passare con loro belle serate, notti piacevoli, poteva anche condividere l’esperienza di una comunità hippie, come è accaduto con la pittrice Chrisann Brennan, la prima con la quale ha vissuto molti anni, che gli ha fatto apprezzare uno stile di vita vegetariana e dalla quale ha avuto una figlia, Lisa, riconosciuta tuttavia solo molti anni dopo la sua nascita.
LE DONNE ERANO distrazioni per ricaricare le pile consumate nel lavoro. Steve Jobs era nato nel 1955 da madre svizzera e padre iraniano; era stato adottato quando i genitori biologici lo avevano abbandonato. Un abbandono che lo ferì a sangue. Cresciuto nel clima lisergico e controculturale della California dei sixties è sprezzante, saccente e con un ego che offusca quello di Narciso. Oltre a diventare ricco vuole cambiare il mondo con la tecnologia. Frequenta tecnologi e hippie, come molti coetanei californiani. Avvia progetti quasi sempre fallimentari, fino alla svolta della Apple. Poi è storia nota.
Uomo di successo, multimilionario, sforna un computer che davvero cambierà, assieme al sistema operativo del suo amico-nemico Bill Gates, il corso del capitalismo mondiale. Ma più il suo conto in banca cresce, più la sua vita privata è un disastro. Il rapporto con la pittrice Chrisann Brennan naufraga; per anni si rifiuterà non solo di riconoscere la figlia ma anche di incontrarla. Tutto sembra essere scritto: uomo di successo, ma uomo fallito, dice la tradizione yankee. Fino all’incontro con Laurene Powell.
Donna affascinata dal buddismo e dalle filosofie orientali lavora, con qualche successo, nel settore biologico. Ha una visione della vita molto più solida di Steve Jobs. Per Laurene, la vita è un viaggio necessario per conoscere se stessi e attraverso il sé conoscere il mondo. È figlia pure lei della controcultura californiana. Non frequenta però la sballata congrega degli smanettoni, come Jobs. Vive ai margini del sistema senza troppi scossoni.
L’INCONTRO con Jobs è l’incontro di due mondi complementari. Si frequentano, si sposano nel 1991. Nei mesi precedenti il matrimonio lavora ai fianchi del futuro compagno di vita per fargli riconoscere la figlia avuta dalla pittrice hippie. Ci riesce. Alcune foto ritraggono i due sorridenti sposi con una damigella d’onore particolare, Lina, la figlia abbandonata in una logica del contrappasso che Jobs ammetterà a mezza bocca.
Laurene continua la sua attività di imprenditrice del biologico, anche se sottoscrive un accordo matrimoniale nel quale è scritto che la carriera lavorativa non la deve distogliere dal ruolo di madre. Studia molto, approfondisce le filosofie orientali. Ha metodo, fattore che ancora manca al marito, come testimoniano i fallimenti della sua attività imprenditoriale dopo la cacciata da amministratore delegato della Apple. Ha fondato una società, la Next, rivelatasi un disastro. Acquista dall’amico George Lucas la Pixar. Vuol farla diventare l’erede della Disney per l’animazione. Ma conosce poco o nulla del feroce mondo holliwoodiano. Sarà costretto a lasciare la guida della Pixar, che diventerà – solo alcuni anni – dopo la società innovativa e glamour che conosciamo.
STEVE JOBS COLTIVA il timore che ci sia qualcosa che non va nella sua testa. Ha paura cioè di avere un qualche disturbo mentale ereditato dai genitori biologici. Laurene dà forma, e dunque risolve le inquietudini e le angosce del marito. Più che riposo del guerriero diventa sostegno, madre, amante, amica. Aderisce ai ruoli della moglie del marito famoso, senza indossare mai l’abito della donna subalterna al maschio. È sì sempre in disparte, sullo sfondo, un passo indietro, ma sempre presente nei momenti importanti. Hanno tre figli, Eve, Erin e Reed. Qui il sodalizio dei due dà il meglio. Pianifica attentamente la loro educazione. Devono imparare a diventare autonomi, senza contare sulle fortune economiche del padre. Devono cioè lavorare duramente per diventare adulti e responsabili. La rigida etica dei padri pellegrini si fonde così con lo zen e il buddismo.
Di questa visione di Laurene ne è testimonianza la famosa lezione tenuta da Steve Jobs all’università di Stanford nel 2005, quando il fondatore della Apple invita i giovani ad «essere affamati e folli». Solo così si diventa adulti, perché le sicurezze della famiglia possono diventare un ostacolo nella vita invece che un riparo.
Jobs è tornato a brillare come una stella nel firmamento dell’hig-tech. Ha salvato dal declino e dal possibile fallimento la Apple. Sforna manufatti – iPod, iPhone, iPad – che rendono la mela morsicata una delle imprese più quotate in borsa. Teorizza uno stile manageriale zen, dove innovazione, etica del lavoro devono convivere con l’arte del samurai. Ispiratrice di tale sottocultura imprenditoriale è sempre lei. Con Laurene conduce una vita austera, riservata. Amano viaggiare. Anzi, Laurene pianifica meticolosamente scorribande in giro per il mondo.
SONO DIVENTATI LEGGENDA i viaggi della famiglia Jobs -Powell. Camuffati a dovere, visitano paesi e città lontane dagli Usa, facendo di tutto affinché nessuno possa sospettare che dietro i capelli biondi dei una donna tipicamente yankee e la incipiente pelata di un allampanato americano ci siano Steve Jobs e Laurene Powell.
La battaglia di Jobs contro il cancro è diventata epica. Caparbio, rigoroso nel seguire diete e cure mediche o sciamaniche, ha continuato a vivere accanto a quella donna che lo ha reso felice, come ha dichiarato pochi mesi prima della sua morte. Uscito di scena, Laurene continua a tessere la tela della sua vita privata e pubblica. Non c’è più un uomo con il quale camminare rimanendo indietro. Le foto la ritraggono sorridente, ma spesso da sola (le cronache mondane parlano di fugaci relazioni), ma cura con attenzione il patrimonio di famiglia. Perché i figli, ormai grandi, devono andare per la loro strada, ma è meglio che nel loro zaino non manchi né il pane né le rose per vagabondare nel mondo.
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