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Il rock brilla ancora nel ritorno dei Rolling Stones

Il rock brilla ancora nel ritorno dei Rolling StonesI Rolling Stones – foto di Mark Seliger

Musica A quasi vent’anni dall’album precedente «Hackney Diamonds» supera ogni aspettativa, un glorioso epilogo per l’avventura artistica di Jagger e Richards?

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 20 ottobre 2023

Su Keith non ci giureremmo, ma si direbbe che almeno Mick abbia fatto sua la lezione proustiana di Noodles e sia andato a letto presto, in questi diciotto anni trascorsi da A Bigger Bang, fino a ieri ultimo album di inediti degli Stones. Il riferimento cinematografico non è affatto gratuito: ascoltando Hackney Diamonds è impossibile non restare colpiti dalla circolarità che riesce a imprimere a quella che è innanzitutto una grande storia di amicizia, quasi come accade nella narrazione per immagini di Sergio Leone. Non è una fumeria d’oppio newyorkese a scandire analessi e prolessi, stavolta, ma la stazione ferroviaria di Dartford, dove il 17 ottobre 1961 i giovani Keith e Mick si incrociano a distanza di anni lungo il binario due; uno ha la chitarra a tracolla, l’altro porta sottobraccio un disco di Muddy Waters, tra le cui tracce una in particolare finirà per affascinarli e battezzarli, Rolling Stone.

Sessantuno anni dopo, è quello stesso blues a chiudere i solchi di Hackney Diamonds e a riavvolgere la storia dei due protagonisti (non ce ne voglia Ron Wood). L’album uscito oggi per Polydor è a suo modo una ricerca del tempo perduto condotta rispolverando – per l’ultima volta? – alcuni dei più personali leitmotiv, come preannuncia il primissimo riff di Richards che in Angry ritorna al giochino chitarristico di Honky Tonk Woman, Start Me Up e tante altre, alternando quarte e seste all’accordo maggiore di partenza. Sembra la perfetta traduzione sonora della domanda che egli stesso si pone in Tell Me Straight – «Is my future all in past?» – a cui il vecchio amico risponde concludendo la traccia seguente con «Let the old still believe that they’re young», verso di cui si premura di sottolineare a voce il verbo credere in modo che nessuno possa pensarlo sinonimo di fingere.
E allora risulta pienamente credibile anche il «lercio appartamento di Fulham» in Whole Wide World con il suo odore di «sex and gas», i soliti vecchi motel e la cronica post-adolescenza rock di un ottantenne «troppo giovane per morire e troppo vecchio per perdere» (Depending On You).

MA, APPUNTO, è una credibilità che non sarebbe plausibile al di fuori dell’identità musicale rollingstoniana, ritrovata come e attraverso il tempo con gran merito del nuovo produttore Andrew Watt, ormai specializzato nell’arte di mettere vecchie rockstar davanti allo specchio: l’aveva fatto pochi mesi fa con Iggy Pop (Every Loser), è andato oltre ogni aspettativa con la più storica delle band. Che guardandosi allo specchio recupera l’energia di quarant’anni fa, ma allo stesso tempo si scopre insospettabilmente pulita (da quanto non suonavano così asciutte e composte le chitarre di Keith e Ron?), contemporanea senza bisogno di lifting sonori. Dei quali si poteva pur scorgere l’anticamera la prima volta che ci si era imbattuti in Lady Gaga nel singolo Sweet Sounds Of Heaven; ma né lei né l’altro special guest Stevie Wonder sono lì per eclissare un Jagger che in questo gospel pronipote di You Can’t Always Get What You Want raggiunge l’acme del suo attuale range drammatico, increspando la voce quanto basta sul verso «Please protect us from the pain and the hurt».

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ANCHE I FEAT, insomma, si rivelano funzionali alla narrazione circolare dell’album, specie quando l’ucronia discografica riunisce Bill Wyman e la batteria postuma di Charlie Watts in Live By The Sword e Mess It Up (il resto della tracklist è appannaggio del nuovo batterista Steve Jordan). Ma sono simboli di un tempo ritrovato anche il pianoforte di Elton John e il basso distorto dell’ospite inatteso Paul McCartney, che in Bite My Head Off è invocato per nome da Mick – «Come on Paul, let us hear something!» – per chi ancora credesse a quella vecchia finzione della rivalità. Tutta gente che va a letto presto.
Nessuno può essere certo che questo sia il proverbiale canto del cigno, visto che gli stessi Stones dichiarano mordaci di avere materiale inedito per almeno «tre quarti di album»; ma Hackney Diamonds meriterebbe davvero di fare da epilogo alla loro grande storia, e di riaprirla in maniera altrettanto circolare finendo magari sottobraccio a qualche giovane ascoltatore del futuro, lungo i binari della Dartford Station.

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