Il ritorno di Kamala Harris tra alleati sempre più divisi
Sotto tiro Crisi ucraina, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco le dichiarazioni di Mario Draghi sul gas russo creano una nuova vicinanza tra Italia e Germania
Sotto tiro Crisi ucraina, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco le dichiarazioni di Mario Draghi sul gas russo creano una nuova vicinanza tra Italia e Germania
Divisi sulla tattica, spaccati sulla strategia. Stridono non poco le roboanti minacce alla Russia del «fronte unito» di Usa, Nato e Ue con la babele di posizioni emerse nella seconda sessione della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco.
Il giorno di Kamala Harris, vicepresidente degli Usa decisa a riprendersi i riflettori internazionali dopo le frizioni interne con Joe Biden e in vista delle elezioni di midterm. «Se la Russia attaccherà l’Ucraina la Nato si allargherà ad Est» minaccia la numero due di Washington, insieme alla solita valanga di sanzioni contro Mosca e al ricorso dell’articolo 5 dell’Alleanza atlantica «erroneamente depotenziato da Trump».
CORRISPONDE ALLA LINEA scandita ieri anche dal premier britannico, Boris Johnson, impegnato a «liberare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo», come dal segretario generale Nato, Jens Stoltenberg, pronto a ricordare a Putin che «non ci sarà lo stop alle basi militari a Est perché non facciamo distinzioni tra i nostri membri».
Invece le differenze non solo ci sono ma sono siderali. A cominciare dal nuovo asse Berlino- Roma avviato dalla clamorosa dichiarazione del presidente Mario Draghi: la richiesta italiana di non includere l’energia tra i settori passibili di embargo ha fatto impallidire Bruxelles e arrabbiare gli Usa. Facendo il paio con il cancelliere Olaf Scholz che, per l’ennesima volta, ieri ha garantito: «l’espansione della Nato non è in agenda né oggi né in futuro».
Messaggi diretti ai russi quanto agli ucraini che provano a sfilarsi dal ruolo di comparsa nel copione scritto lontano da Kiev. Tentando di costruire il ponte diretto con il Regno Unito, parallelo ma alternativo alla dottrina Biden rea di alimentare il panico che si traduce nella fuga dei capitali stranieri dall’Ucraina. Non è un caso se il premier ucraino Volodymyr Zelensky e Johnson ieri si sono appartati lontani dalle orecchie degli altri capi di Stato per definire «i passi in comune nella crisi russa».
LO STESSO AGGETTIVO declinato venerdì dalla ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, per addossare la colpa dell’escalation a Putin, ieri usato anche per consigliare a tutti i tedeschi di «lasciare urgentemente l’Ucraina». Mentre la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, allargava il mirino Ue fino a Pechino: «Russia e Cina vogliono imporre un nuovo ordine mondiale» è la pesantissima denuncia dell’ex ministra della Difesa di Angela Merkel di fronte al ministro degli Esteri cinese Wang Yi.
Del resto, la Cina alla Conferenza di Monaco non ha fatto sconti in nome della Realpolitik bellica, ricordando a von der Leyen che «la Guerra Fredda appartiene al passato e ora serve una nuova era in cui l’Ucraina possa rappresentare l’anello di congiunzione fra Occidente e Oriente». Prima di ribadire come per Pechino sia imprescindibile l’integrità territoriale di Kiev ma anche «il rigoroso rispetto degli accordi di Minsk».
DIALOGO FORZATO tra sordi, tutt’altro che facilitato dalla denuncia della Conferenza dei lager per la minoranza islamica in Cina. Ma non si capiscono neanche Zelensky e i suoi più stretti alleati, come dimostra il sintomatico scambio di battute tra Usa e Ue e il governo di Kiev riassunto così: «Mi dicono che l’attacco russo è questione di giorni. Chiedo: quando scatteranno le sanzioni contro Mosca? Risposta: quando inizierà l’attacco russo. Allora saranno inutili» chiosa il premier ucraino sull’orlo della crisi di nervi che non si può permettere, oscillando fra «proteggeremo i nostri confini anche senza gli alleati», «serve un chiaro calendario per il nostro ingresso nella Nato» e «voglio parlare con Putin per capire cosa vuole».
TUTTAVIA SENZA AIUTI esterni Kiev non sopravvive economicamente. Di sicuro la Conferenza di Monaco ha accelerato il flusso dei finanziamenti Ue all’Ucraina (2 miliardi di euro, un quarto garantiti da Berlino) ma ieri Scholz ha accusato Zelensky e gli alleati di scarsa gratitudine. «La Germania è lo Stato che ha aiutato maggiormente gli ucraini. Ce lo riconoscono tutti in privato, sarebbe ora cominciassero a farlo anche in pubblico». Insomma, il cancelliere Spd non ci sta a passare per il guastatore della campagna di pressione sulla Russia, tanto più se a inseguire il negoziato «formato Normandia» fra Mosca e Kiev è pure il presidente francese Emmanuel Macron. In più le armi contro il Nordstream sono sempre più scariche: il maggior difensore del gas russo ora è Draghi, disposto a rischiare il blocco dei metanodotti perfino meno di Baerbock.
Grana diplomatica non da poco per il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ieri a Monaco concentrato soprattutto nel previsto faccia a faccia con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Obiettivo: fissare la cornice della crisi ucraina ma anche l’instabile quadro della Libia.
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