Il ritorno della disciplina di bilancio
Buona parte delle prime pagine dei giornali di venerdì 21 dicembre sono stati dedicati alla riforma del Patto di Stabilità (PdS). Per Il Corriere «è accordo», per il Mattino «c’è intesa», il Sole 24-Ore mette una citazione di Giorgetti («L’Italia ha ottenuto molto»), mentre Repubblica le canta al governo («La resa di Meloni»); la Stampa ottimisticamente attesta che «l’Europa adesso cambia» (lo avevamo già sentito).
Si tratta di un dibattito abbastanza tecnico che non suscita gli entusiasmi popolari, ma questa è la forza dell’oligarchia: diritti, pensioni, sanità, tutto quello che ha bisogno di un sostegno finanziario da parte dello Stato viene inevitabilmente condizionato da mere regole contabili racchiuse in arzigogolate discussioni di nicchia, anziché essere abbracciate da una dialettica politica.
Concretamente cosa cambia? Al momento niente: l’accordo di cui si sta parlando dovrà passare per un confronto con l’europarlamento, poi – eventualmente – entrare in vigore.
Ma entriamo nel merito: com’è noto il Patto di Stabilità consiste di due regolamenti del 1997, in cui si specificano i vincoli di bilancio degli Stati membri della Ue: non oltrepassare il deficit del 3% (cioè il saldo fra entrate e spese annuali) e il 60% del debito pubblico (come misura cumulativa dei saldi annuali). Ma data la quantità di coloro che non le rispettavano – che è considerevolmente aumentata con le varie crisi: dei debiti sovrani, del Covid, ecc. – la loro verifica è divenuta sulle tendenze che sui tetti assoluti. Insomma: non sei nei limiti del 60%? Si vede se ti stai impegnando a ridurre la differenza. Tutta la farraginosa e complessa struttura della governance Ue dopo il 2010-12 è ossessivamente incentrata sul riaffermare tali limiti sulla base dell’impegno a conseguirli con criteri oggettivi, attorcigliandosi in calcoli percentuali. Calcoli che devono tenere conto di fattori che esulano dalla volontà del governo come catastrofi naturali, recessione generalizzata. Oramai c’è un consenso bulgaro sul fatto che tali regole siano state inefficaci, inutili, infondate e volte a tagliare il welfare; le necessità di spesa in seguito alla crisi del Covid ha reso lo iato fra regole sulla carta e realtà contabili troppo grottesco per non sembrare semplicemente ridicolo.
Buona parte del nuovo testo sembra trasformare la prassi recente in regole. L’illusione di sostituire la discrezionalità politica sotto una valanga di regole (il sogno di tutti i tecnocrati: sostituire la democrazia con un’equazione – fatta da loro) non è mai stata realistica; nelle numerose infrazioni alla disciplina di bilancio il Consiglio europeo (cioè i governi) e la Commissione hanno di volta in volta deciso se erano giustificate o no e in quali casi infliggere le sanzioni. Era stato stabilito, per esempio, dieci anni fa che chi aveva un debito pubblico superiore al 60% sul pil lo avrebbe ripianato a tale soglia in venti anni, eliminandone 1/20 all’anno. Questo non è successo, e nessuno pensa che possa davvero accadere. Le istituzioni comunitarie hanno quindi aggirato le regole inapplicabili con varie forzature. Tale discrezionalità, se ha evitato i danni di una applicazione meccanica, si è anche tradotta nella legge del più forte, favorendo alcuni Stati (più influenti e ben inseriti) e penalizzandone altri. Questo elemento resta: tutto viene deciso dagli stessi soggetti, che vedranno di volta in volta quando cogliere le «nuove» basi giuridiche. Per esempio il pensatoio Bruegel commentando il testo ha considerato problematico il fatto che nel prossimo triennio non verranno contati come spesa gli interessi sul debito, visto il rialzo dei tassi. Ma nel testo si legge che la Commissione potrà tenerne conto (“the Commission may adjust to take into account…”). Lo stesso dicasi per un alleggerimento dei criteri per premiare la spesa militare o per il green: nella complessa equazione sarà impossibile verificare se a tali fattori sia stato dato il giusto peso.
Perciò quando Reuters descrive la riforma come un alleggerimento dei parametri pecca un po’ di ottimismo. A gennaio si dovrebbe capire cosa succederà nel corso del dialogo con l’Europarlamento. Per ora c’è poco da stare allegri: le regole contabili, sospese nella primavera 2020, stanno per tornare.
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