Probabilmente, oggi potrebbe riuscire difficile per gli spettatori delle nuovissime generazioni comprendere sino in fondo la dirompente portata di Toro scatenato (Raging Bull, 1980). Intanto, quel momento particolare nel quale vede la luce: quando la fine degli anni Settanta si apre sul decennio successivo come se in fondo non fosse accaduto nulla; quel momento nel quale il cinema di fatto era ancora il protagonista indiscusso delle conversazioni culturali e politiche, oggi rischia – paradossalmente – di caricarsi di un plusvalore nostalgico forse fuori posto.
Martin Scorsese, per dire, non era l’autore universalmente celebrato di adesso, ma si trovava a fare i conti con un sistema cinematografico, quello hollywoodiano, che tentava di riconquistare il controllo dagli autori che per qualche momento ne avevano goduto pienamente dando corpo alla loro hybris. Senza stare troppo a badare alle cronologie (questo non è un ragionamento storiografico o filologico) ma planando a volo d’uccello si potrebbe ritenere, erroneamente, che quel pugno di anni siano stati in fondo una specie di età dell’oro. Apocalypse Now, Toro scatenato, Animal House, Stati di allucinazione, Alien: ogni film si presentava come un’opera che ridefiniva tutto quanto la precedeva.

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Martin Scorsese, dentro i rimpianti e i chiaroscuri della vitaNEL 1980 Scorsese ha già realizzato alcuni dei film statunitensi più importanti di tutti i tempi. L’elemento che però troneggia possente su tutto è il flop catastrofico di New York, New York e il racconto dei vassoi di cocaina che giravano sul set manco si girasse negli uffici della Casablanca di Neil Bogart. Che New York, New York sia un capolavoro è un indiscutibile. Che all’epoca sia costato quasi la vita e la carriera a Scorsese anche. Hollywood vorrebbe liberarsi di Scorsese. Tornare alla normalità. Eliminare chi crea problemi e offre il cattivo esempio. Robert De Niro s’innamora della storia di Jake La Motta, il toro del Bronx. Scorsese non capisce niente di pugilato e si mette letteralmente al servizio del suo attore. Toro scatenato, insomma, nasce al cuore di una devastante crisi esistenziale e spirituale. La qualità febbricitante del film è probabilmente il delirio che dalla vita di Scorsese tracimava nel perimetro delle inquadrature. Sin dai titoli di testa, Mascagni al ralenti, il bianco e nero, si comprende che Raging Bull non è un film come un altro.
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Tutto si presenta come un incontro al vertice. La fotografia in bianco e nero di Michael Chapman, il montaggio di Thelma Schoonmaker, la sceneggiatura di Paul Schrader (e Mardik Martin), il cast dei caratteristi (con il leggendario Frank Vincent in testa), un Joe Pesci irresistibile e un’esordiente del valore di Cathy Moriarty sono solo alcuni degli elementi che hanno fatto sì che oggi il film sia considerato uno dei più importanti di ogni tempo mentre all’epoca Scorsese pensava che sarebbe stato il suo ultimo lavoro. La violenza di Toro scatenato spaventa i distributori. Per Scorsese era una via crucis. Non capiva nulla di pugilato aveva detto, si lasciava guidare dal suo interprete, ma che si trattasse di una tremenda lotta per l’anima di La Motta questo lo aveva capito.

L’OSSESSIONE biblica dello spreco dei talenti ricevuti, l’asfissiante senso del peccato, il peso dell’incapacità di resistere alle seduzioni della carne, fanno sì che Scorsese decida di mondare nel sangue una caduta rovinosa dalla Grazia. La violenza sta nei colpi inferti e in quelli destinati agli altri. Alla moglie, agli amici, al fratello. Una solitudine assoluta, chiusa in una violenza senza via di scampo. Scorsese porta alle estreme conseguenze la poetica di Schrader: un uomo è ciò che fa. La Motta non riesce a scampare al perimetro del suo agire. Resta bloccato come un animale – appunto – in gabbia.
Toro scatenato rappresenta un apice del cinema americano. Un’idea stessa di cinema da portare come esempio di pratica poetica. Una cosa che si studia nelle scuole. E quindi – inevitabilmente – è diventato un classico. Allora – nella sua ferocia brutale – sembrava quanto di più lontano da una possibile serenità classica da catalogare negli annali del cinema ben fatto. Il sangue gocciante dalle corde del ring non permetteva tali illusioni. L’incalzante bestialità della paranoia e gelosia di La Motta, la passione cristica del martirio sul ring, l’incontenibile violenza dei dialoghi, si offrivano come un’esperienza di cinema lancinante: del mai visto.
Per questo motivo, probabilmente, Scorsese è diventato un cineasta tanto amato. Ogni suo film ridefiniva le possibilità di quel che si poteva fare con il cinema. Capolavoro ci si diventa dopo. Prima si passa attraverso l’inferno della passione.