Il recovery ora mostra i denti
Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica
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In questa fase di riposizionamento continuo di tutti, accanto ai sostenitori del M5S e del Pd oramai tramortiti dalle giravolte dei loro vertici, vanno collocati anche gli estimatori della Lega che, contrariamente all’orientamento precedente, vota in modo favorevole al regolamento del Recovery and Resilience Facility (« Dispositivo di Ripresa e Resilienza ») varato dal Parlamento europeo.
Tale approvazione, pressoché scontata, fa un po’ di notizia solo come testimonianza del nuovo corso «europeista» del partito di Salvini; ma si rischia di lasciarsi passare sotto al naso il contenuto di tale regolamento.
Il Dispositivo costituisce la parte più rilevante del «Next Generation Eu»: sul totale di 750 miliardi di euro di dotazione infatti ne comprende ben 672,5.
Se le modalità di finanziamento del Dispositivo sono estremamente discutibili e dense di incognite, il regolamento approvato rende certezza le avvisaglie di stringenti condizionalità che potrebbero rendere estremamente controproducente utilizzare tale strumento.
La disposizione chiave a tal proposito è l’articolo 10: in esso si attesta che si potrà interrompere l’erogazione dei fondi in caso di disavanzo eccessivo (comma 1) o in caso di squilibri eccessivi. Si fa riferimento agli oramai leggendari parametri sanciti nel Patto di Stabilità e Crescita – 60% debito/Pil e 3% deficit – opportunamente calati in una procedura per la quale chi non rientra in essi deve adottare un piano «credibile» per conseguirli.
Tutti i testi legislativi presentano diversi termini simili: «efficaci», «credibili», «adeguati».
Ma chi decide se gli atti posti in essere dal paese in questione lo sono o no ?
La risposta teoricamente è: il Consiglio europeo, cioè i governi. In pratica invece sarà la Commissione a decidere (l’insieme dei Commissari nominati dai governi e, dall’entrata in carica, teoricamente indipendenti e imparziali rispetto ad essi), perché secondo il comma 3 dello stesso articolo 10 la «proposta di una decisione di sospendere gli impegni presentata dalla Commissione si ritiene adottata dal Consiglio a meno che esso non decida, tramite un atto di esecuzione, di respingere la proposta a maggioranza qualificata»; cioè i governi dovrebbero opporsi in grande maggioranza. Una eventualità poco probabile.
Tutto ciò significa che i fondi del Dispositivo, erogati a rate, potranno essere sospesi non solo in caso di attuazione non conforme a quanto scritto nel famoso «Recovery Plan» per cui sono stati concessi, ma anche in caso in non conformità dell’orientamento della finanza pubblica nel suo complesso con le prescrizioni della Commissione!
Un po’ come se un debitore firmasse un contratto che concede al creditore il diritto non solo di controllare cosa fa con i soldi prestati ma anche con tutte le sue entrate – e magari anche i ritmi di lavoro; e di porre in atto azioni coercitive se non ne sia soddisfatto.
La nuova «governance» economica dell’Unione consiste in larga parte di una ossessiva, occhiuta e persistente vigilanza sui bilanci pubblici; adesso vengono aggiunte sanzioni significative, ed è il «Financial Times» a scrivere, fuori di ogni reticenza, che le Raccomandazioni del Country Report per i reprobi erano «senza denti» mentre adesso vengono loro dati (letteralmente: «finally giving them teeth»!).
A dispetto del fatto che i suddetti parametri sono privi di ogni fondamento e significativa base scientifica, se non il logoro «mainstream» demistificato cento volte dalla ricerca e dalla realtà; del fatto che rispettarli si traduce per i paesi più deboli in austerità sostanziale, e la crescita promessa dalla loro adozione non arriva mai, ma al suo posto si presentano ulteriori precarietà e indebolimento delle classi subalterne.
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