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Il rapper Hasél in galera

Il rapper Hasél in galeraIl rapper, Pablo Rivadulla Duro, alias Pablo Hasél, durante il trasferimento del carcere di Lleida in Catalogna – Europa Press via AP

Spagna Il rapper catalano Pablo Hasél, comunista indipendentista condannato a 9 mesi di carcere per i suoi brani contro la Monarchia. Secondo la Corte Suprema di Madrid incitano alla violenza

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 2 febbraio 2021

«Non serve concordare con ciò che canto per riconoscere la madornale violazione della libertà d’espressione». L’affermazione di Pablo Rivadulla Duró, in arte Pablo Hasél, riassume una vicenda che ha implicazioni assai più vaste del caso specifico.

LA CORTE SUPREMA di Madrid ha confermato infatti la condanna inflitta nel 2018 dall’Audiencia Nacional al rapper catalano per «apologia del terrorismo» e «ingiurie alla Corona e alle istituzioni statali» a causa dei suoi versi e dei suoi post sui social. L’entità iniziale della pena, due anni, è stata ribassata a nove mesi, che però Hasél dovrà scontare perché già nel 2014 il 32enne è stato condannato a due anni – e la pena sospesa – dopo un arresto nel 2011 sulla base di accuse simili.

La giustizia spagnola non perdona al cantante, comunista e indipendentista, le sue aspre accuse nei confronti della famiglia reale, del Partito Popolare, dell’esercito, e ancora meno i suoi riferimenti ad organizzazioni armate come i Grapo o l’Eta basca (entrambe sciolte) o ancora i suoi appelli alla liberazione dei detenuti politici.

LO SCORSO 27 GENNAIO L’amministrazione penitenziaria ha intimato all’artista di consegnarsi entro dieci giorni per scontare la pena; se non lo farà – e Hasél ha chiarito che non è sua intenzione – verrà arrestato. Nel motivare la sentenza, il giudice ha esplicitamente affermato che Hasél è «recidivo» e «molto conosciuto, e quindi il suo messaggio può effettivamente incitare alla mobilitazione di piazza». Insomma, il rapper è pericoloso perché l’invito alla ribellione, viaggiando attraverso le note, si rivela più pervasivo.

DI FRONTE AI SUOI TESTI durissimi, estremi, a volte truculenti, in molti affermano che la libertà di espressione va garantita ma anche regolata all’interno di certi limiti. Un discorso che ha un qualche fondamento se non fosse che, sul fronte opposto, gli appelli al linciaggio di esponenti della sinistra o dei movimenti indipendentisti, o le continue minacce di golpe provenienti da esponenti dell’estrema destra o da militari, non suscitino l’attività censoria dell’Audiencia Nacional. E se non fosse per il sistematico accanimento degli organismi giudiziari nei confronti di artisti di vario tipo che negli ultimi anni hanno subito censure e condanne che rendono la Spagna uno tra i paesi più allergici alla libertà d’espressione tra quelli democratici.

Nel mirino della magistratura spagnola è finito, tra gli altri, César Strawberry, il cantante della nota band Def con Dos condannato per alcune battute via social sul terrorismo e le malefatte del re; e poi ancora i membri della band hip hop La Insurgencia, anche loro condannati a due anni per apologia. Nel 2016 erano finiti in cella addirittura due marionettisti di Madrid perché, nel corso di uno spettacolo, avevano esposto sulla scena uno striscione che, secondo l’accusa, incitava alla violenza.

Ma se ora dovesse effettivamente entrare in carcere per scontare la pena, Hasél sarebbe l’unico artista finito in galera in tutta l’Unione Europea a causa della sua attività artistica, per quanto politicamente connotata.

PER EVITARE UNA SORTE simile un altro rapper, Valtonyc (al secolo Josep Miquel Arenas, di Maiorca), ha trovato rifugio a Bruxelles. Su di lui pende una condanna a ben tre anni e mezzo inflittagli ancora dall’Audiencia Nacional.

In una lunga intervista ospitata da TV3, il principale canale pubblico catalano, Hasél ha spiegato che, pur avendo ricevuto delle offerte in vari paesi, non andrà in esilio e non chiederà l’indulto. Il suo arresto, afferma, rivelerà l’assenza di separazione dei poteri e inciterà a una mobilitazione di solidarietà che effettivamente è già iniziata.

NEI GIORNI SCORSI, qualche migliaio di persone hanno manifestato in diverse città catalane e altre iniziative sono previste nel fine settimana in tutto il Regno. Intanto Podemos è tornata a chiedere la cancellazione della Ley Mordaza, la legge bavaglio approvata nel 2015 dal popolare Rajoy; la deroga era stata promessa dal premier socialista Sánchez, ma il capitolo sulla repressione del «dissenso digitale» è stato addirittura inasprito.

LA VICENDA RIVELA, una volta ancora, quanto la magistratura – insieme all’esercito e alla monarchia – sia uscita relativamente indenne dalla transizione dal franchismo alla democrazia: gli alti gradi della magistratura costituiscono un influente strumento di condizionamento per le correnti più conservatrici, se non reazionarie e nostalgiche.

ECLATANTE IL CASO dell’Audiencia Nacional, il tribunale antiterrorismo nato dalle «ceneri» del Tribunal de Orden Público incaricato di perseguire gli oppositori al regime. Dopo la morte del Caudillo, una parte dei giudici franchisti passarono alla nuova istituzione, ospitata nello stesso lugubre edificio di Madrid.

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