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Il primo sì alla riduzione dei parlamentari, Di Maio se la “gode”

Il primo sì alla riduzione dei parlamentari, Di Maio se la “gode”Il senato della Repubblica

«Oggi sono andato al senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi». Per la gioia di Di Maio, il senato ha approvato a […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 8 febbraio 2019

«Oggi sono andato al senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi». Per la gioia di Di Maio, il senato ha approvato a passo di carica in prima deliberazione (delle quattro previste) la prima riforma costituzionale della maggioranza giallobruna. Maggioranza allargata, perché anche Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato a favore della riduzione dei parlamentari (deputati da 630 a 400, senatori da 315 a 200). Spiegando però che si tratta di una riforma pessima, ma che non si può lasciare alla Lega e ai 5 Stelle la propaganda sui costi della politica, specie in vista delle elezioni europee.

Una resa totale, dunque, che regala alla riforma proposta dai 5 Stelle – ma immediatamente fatta propria dal leghista Calderoli – una maggioranza più ampia, in teoria sufficiente, se fosse mantenuta fino alla fine, a evitare il referendum confermativo. Ieri però all’annuncio non è seguito un comportamento conseguente, le tante assenze nell’opposizione di destra hanno fermato i sì a quota 185 (in teoria avrebbero dovuto essere 240) quindi sotto la soglia dei due terzi.

La sinistra di LeU e il Pd hanno votato contro. Di Maio non ha mancato di approfittarne per un altro po’ di propaganda. «Il Pd – ha detto – ha votato contro dopo che per tre anni quel signore che non è neppure il caso di nominare ci ha trascinato in quella riforma dimostrando così che non gliene fregava niente di tagliare i costi della politica». Parla di Renzi, ovviamente, ma sbaglia, perché sull’argomento demagogico che le «poltrone» dei senatori costano e vanno tagliate per risparmiare, Renzi costruì un pezzo della campagna (perdente) per il Sì al referendum del 2016. D’altra parte sono adesso i 5 Stelle a gonfiare il conto dei risparmi garantiti dal taglio del 36% dei parlamentari, recuperando esattamente gli stessi calcoli che all’epoca contestavano. Il Pd invece è adesso sulle barricate in difesa del ruolo del parlamento, e non esclude un nuovo ricorso alla Corte costituzionale contro la decisione di non mettere al voto i suoi emendamenti alla riforma. Ma prima attende le motivazioni della inammissibilità del precedente ricorso, quello sull’approvazione blindata della manovra.

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