Il primo sì alla riduzione dei parlamentari, Di Maio se la “gode”
«Oggi sono andato al senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi». Per la gioia di Di Maio, il senato ha approvato a […]
«Oggi sono andato al senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi». Per la gioia di Di Maio, il senato ha approvato a […]
«Oggi sono andato al senato e mi sono voluto godere la scena, ho visto i senatori tagliare se stessi». Per la gioia di Di Maio, il senato ha approvato a passo di carica in prima deliberazione (delle quattro previste) la prima riforma costituzionale della maggioranza giallobruna. Maggioranza allargata, perché anche Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato a favore della riduzione dei parlamentari (deputati da 630 a 400, senatori da 315 a 200). Spiegando però che si tratta di una riforma pessima, ma che non si può lasciare alla Lega e ai 5 Stelle la propaganda sui costi della politica, specie in vista delle elezioni europee.
Una resa totale, dunque, che regala alla riforma proposta dai 5 Stelle – ma immediatamente fatta propria dal leghista Calderoli – una maggioranza più ampia, in teoria sufficiente, se fosse mantenuta fino alla fine, a evitare il referendum confermativo. Ieri però all’annuncio non è seguito un comportamento conseguente, le tante assenze nell’opposizione di destra hanno fermato i sì a quota 185 (in teoria avrebbero dovuto essere 240) quindi sotto la soglia dei due terzi.
La sinistra di LeU e il Pd hanno votato contro. Di Maio non ha mancato di approfittarne per un altro po’ di propaganda. «Il Pd – ha detto – ha votato contro dopo che per tre anni quel signore che non è neppure il caso di nominare ci ha trascinato in quella riforma dimostrando così che non gliene fregava niente di tagliare i costi della politica». Parla di Renzi, ovviamente, ma sbaglia, perché sull’argomento demagogico che le «poltrone» dei senatori costano e vanno tagliate per risparmiare, Renzi costruì un pezzo della campagna (perdente) per il Sì al referendum del 2016. D’altra parte sono adesso i 5 Stelle a gonfiare il conto dei risparmi garantiti dal taglio del 36% dei parlamentari, recuperando esattamente gli stessi calcoli che all’epoca contestavano. Il Pd invece è adesso sulle barricate in difesa del ruolo del parlamento, e non esclude un nuovo ricorso alla Corte costituzionale contro la decisione di non mettere al voto i suoi emendamenti alla riforma. Ma prima attende le motivazioni della inammissibilità del precedente ricorso, quello sull’approvazione blindata della manovra.
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