Il piano di Trump che affossa Cop22
La vittoria di Trump getta un’ombra preoccupante anche sul tema dei mutamenti climatici di cui si sta discutendo alla Cop22 di Marrakech. È noto che una delle differenze principali fra […]
La vittoria di Trump getta un’ombra preoccupante anche sul tema dei mutamenti climatici di cui si sta discutendo alla Cop22 di Marrakech. È noto che una delle differenze principali fra […]
La vittoria di Trump getta un’ombra preoccupante anche sul tema dei mutamenti climatici di cui si sta discutendo alla Cop22 di Marrakech. È noto che una delle differenze principali fra lui e la Clinton è proprio sulle strategie per contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta.
La candidata democratica si era posta sulla stessa lunghezza d’onda di Obama, che è stato determinante nella costruzione degli accordi di Parigi e, insieme alla Cina, nella loro ratifica. Hillary, in continuità con il presidente uscente, aveva preso degli impegni forti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e contro i combustibili fossili più inquinanti.
Difficile al momento capire come la nuova amministrazione americana si muoverà. Nel corso della campagna elettorale Trump ha più volte promesso di uscire dalle intese sul clima, definendo il programma ambientale della Clinton come «portatore di povertà». Così come ha sottolineato più volte la necessità di aumentare l’estrazione di carbone e petrolio, presentando le politiche ambientali come nemiche dell’occupazione e dello sviluppo. Con queste parole d’ordine ha stravinto anche fra i minatori di carbone del West Virginia; eppure i numeri dicono che, nel campo dell’energia, è proprio nelle rinnovabili che l’occupazione aumenta.
Nel 2015, per la prima volta negli Stati Uniti, gli occupati del solo comparto del solare sono stati 209mila contro i 187mila dell’Oil e Gas. Sui temi ambientali c’ è quindi il pericolo di un mostruoso passo indietro, ma modi e merito sono tutti da vedere.
E oggi è ancora più importante capire, però, che la sfida del clima non è solo quella del «dover essere», magari un obbligo morale, ma una grande occasione per affrontare la crisi globale e una opportunità per rilanciare un’economia più a misura d’uomo, che fa della sostenibilità ambientale e sociale il cuore della sua azione.
L’Italia in questo contesto può svolgere un ruolo importante. Le politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici alimentano una richiesta di tecnologie, beni e servizi improntati al rispetto dell’ambiente che va oltre la necessità di diminuire il ricorso ai combustibili fossili, investendo i processi di innovazione dell’intera economia. In questo campo abbiamo esperienze ormai consolidate. Lo dimostra GreenItaly 2016, il rapporto della Fondazione Symbola e di Unioncamere che fotografa un Paese che risponde alla crisi guardando in avanti. Sono 385mila le imprese dell’industria e dei servizi che hanno investito green tra il 2010 e il 2015, o lo faranno entro la fine del 2016. Queste imprese dimostrano che il nostro posto nel mondo non è quello della quantità a basso prezzo del dumping ambientale e sociale, ma quello della qualità, fatta di cura dei dettagli, di attenzione al capitale umano, di coesione, bellezza, innovazione.
I numeri ci dicono che le imprese che investono green sono più competitive: nel settore manifatturiero il 46% esporta, contro il 27,7% di chi non investe in sostenibilità; il 35,1% ha aumentato il fatturato contro il 21,8%; hanno introdotto innovazioni il 31,1% delle eco-investitrici contro il 18,7% delle altre.
La green economy si dimostra uno dei settori più dinamici per l’occupazione, dà lavoro a tre milioni di persone. Quest’anno le assunzioni programmate di green jobs e figure con competenze green arriveranno a 249 mila, pari al 44,5% della domanda complessiva di lavoratori non stagionali. Il picco si raggiunge nei settori «ricerca e sviluppo» dove sono il 66% del totale: segno evidente del legame strettissimo fra green economy, innovazione e competitività.
L’innovazione «green» si dimostra una carta vincente anche per l’innovazione di un settore tradizionale come l’edilizia: dal cemento e dal consumo di suolo si passa alla riqualificazione urbana e al risparmio energetico. Lo dimostrano i dati sul credito di imposta per le ristrutturazioni e sull’ecobonus che, come afferma l’elaborazione del Cresme e del servizio studi della camera dei deputati, quest’anno attivano investimenti per 29.2 Mld di euro (+16% sul 2015) e 436mila occupati fra diretto e indotto. Un esempio di «fisco buono» che sarà esteso e rafforzato con la legge di Bilancio e che verrà affiancato dal «sisma bonus» nell’ambito delle misure per la prevenzione antisismica previsto da CasaItalia.
Sono esperienze positive, documentate e certificate, che portiamo in dote alla Cop22 di Marrakech nella discussione su come provare a «dare gambe» agli accordi di Parigi, magari rendendoli irreversibili fin che siamo in tempo.
Come affermava Paulo Cohelo «la vita aspetta sempre le situazioni critiche per rivelare il suo lato più brillante». L’Italia ce la può fare e può anche aiutare gli altri a trovare la via d’uscita, anche in uno scenario che si capovolge in modo inaspettato. Volendo un po’ più bene a se stessa e continuando a fare l’Italia.
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