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Il Pentagono a misura di Trump: licenziati in quattro

Il Pentagono a misura di Trump: licenziati in quattroDonald Trump alle celebrazioni per il Veteran’s Day, ieri in Virginia – Ap

Stati Uniti Il presidente uscente rimodella la Difesa con suoi fedelissimi per «resistere» alla transizione. I Democratici: «I prossimi due mesi precari e pericolosi». Biden va avanti come nulla fosse con l’agenda dei primi 100 giorni, dal Muslim ban ai Dreamers

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 12 novembre 2020

Nell’arco di 11 ore quattro alti funzionari della difesa statunitense sono stati sostituiti a seguito di licenziamenti e dimissioni. I sostituti sono tutte persone considerate fedeli a Trump e questo ha sollevato non poco allarme all’interno del Pentagono, tanto che un funzionario della difesa le ha chiamate «mosse dittatoriali».

Anche i Democratici non hanno preso bene questa serie di mosse e hanno avvertito che gli Usa sono entrati in «un territorio inesplorato». Adam Smith, presidente del comitato delle forze armate della Camera, ha detto che questo sviluppo dovrebbe «allarmare tutti gli americani».

«Se questo è l’inizio di una tendenza – ha proseguito Smith – in cui un presidente licenzia o espelle i professionisti della sicurezza nazionale per sostituirli con persone percepite come più fedeli a lui, allora i prossimi 70 giorni saranno precari, nel migliore dei casi, e nel peggiore addirittura pericolosi».

In effetti le biografie dei neoeletti non sono tra le più rassicuranti: includono Anthony Tata, un generale di brigata dell’esercito in pensione, romanziere e commentatore di Fox News che ha descritto Barack Obama come un «leader terrorista»; Kash Patel, un ex aiutante del Congresso, determinante nella campagna per screditare le indagini sull’ingerenza russa nelle elezioni del 2016, diventato ora capo del personale del nuovo segretario alla Difesa, Chris Miller; Ezra Cohen-Watnick, ex assistente di Michael Flynn, ex aiutante del consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che si è dichiarato colpevole di falsa testimonianza.

Nella sua lettera di dimissioni, James Anderson, ormai ex sottosegretario alla Difesa, ha tenuto a segnalare anche il suo disagio per la direzione che la Casa bianca di Trump stava prendendo all’indomani delle elezioni.

«Ora come sempre, il nostro successo a lungo termine dipende dall’adesione alla Costituzione degli Stati uniti che tutti i funzionari pubblici giurano di sostenere e difendere», ha scritto Anderson.

Molti ex funzionari e analisti militari in questi giorni si stanno prodigando per rassicurare i cittadini e in interviste rilasciare a ogni tipo di media hanno sostenuto che i cambiamenti post-elettorali, sebbene altamente insoliti, non sono un motivo per temere che il Pentagono possa divenire il braccio armato dei disperati sforzi di Trump per mantenere il potere.

Il Pentagono, però, non è l’unico posto in cui l’eredità di Trump sarà difficile da cancellare; di certo la visione di Biden per la politica di immigrazione degli Stati uniti è un cambiamento radicale rispetto a quella di Trump, ma invertire più di 400 ordini esecutivi di The Donald sull’immigrazione sarà un compito arduo.

Al momento niente sembra scalfire la calma imperturbabile del presidente eletto Joe Biden, che minimizza le azioni del tycoon declassandole al grado di fastidi e non di problemi, mentre va avanti, anche lui, come se niente fosse, su un binario parallelo. E mentre il segretario di Stato afferma che la Casa bianca si sta preparando per il secondo mandato di Trump, Biden annuncia i suoi team di transizione.

Secondo il piano del presidente democratico, il 21 gennaio firmerà quattro ordini esecutivi per cercare di raddrizzare subito la rotta, cancellando il Muslim ban e il divieto di viaggio in alcuni Paesi a prevalenza musulmana, riportando gli Stati uniti nel trattato di Parigi e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ripristinando il Deferred Action for Childhood Arrivals, Daca, il provvedimento con cui i minorenni arrivati irregolarmente con i genitori negli Stati uniti vengono regolarizzati.

Aspettando gennaio, intanto, Biden risponde alle telefonate di congratulazioni arrivate da i capi di Stato e da i primi ministri di altri Paesi: «Il mio messaggio ai leader stranieri è solo uno: l’America sta tornando – ha twittato – Parlando con loro ho detto che siamo di nuovo in gioco».

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