La Babele delle trivelle. Al referendum del prossimo 17 aprile il Pd sardo andrà in ordine sparso. La Sardegna è una delle regioni promotrici della consultazione popolare. Il consiglio regionale ha votato compatto per avviare la procedura di avvio del referendum e da settimane il presidente dell’assemblea, Gianfranco Ganau, ex sindaco di Sassari e dirigente di spicco del Pd sardo, fa campagna elettorale per il sì. Ma due giorni fa, quasi en passant, a margine di una conferenza stampa sulla crisi dell’agricoltura nell’isola, il presidente della giunta regionale, Francesco Pigliaru, si è pronunciato pubblicamente per il no. «Siamo in una fase di transizione energetica – ha detto Pigliaru – e l’impegno che tutto il mondo ha preso con Cop 21 è quello di ridurre le emissioni dei gas nocivi per il cambiamento climatico, ma non ha deciso di farlo da un giorno all’altro. Ha deciso di farlo in un percorso di transizione energetica. La Sardegna si è impegnata a ridurre l’emissione dei gas nocivi del 50% entro il 2030, una sfida ambiziosa ma che non implica che da un giorno all’altro dobbiamo smettere di produrre energia con i combustibili fossili».

«Dobbiamo ridurne l’uso – ha aggiunto il presidente – ma dobbiamo farlo con tempi che consentano all’economia di adeguarsi. Sappiamo in che direzione e con che velocità andarci e mi pare che tenere aperti i pochi impianti che esistono oggi nel mare e consentire di andare avanti fino all’esaurimento dei giacimenti sia una scelta ragionevole». Un fulmine a ciel sereno, perché il presidente della giunta non aveva mai manifestato ostilità rispetto all’iniziativa del consiglio di promuovere, insieme con altre regioni, il referendum. Neanche approvazione, però. Pigliaru aveva semplicemente taciuto. Messo alle strette dall’approssimarsi della scadenza elettorale, ha scelto per il no. Il governatore è alla guida di una maggioranza di centrosinistra in cui il Pd ha un ruolo centrale. Docente di Economia all’università di Cagliari, ex assessore al Bilancio nella giunta di Renato Soru che ha governato la Sardegna dal 2004 al 2009, l’attuale presidente non è iscritto al Pd. A suo tempo è stato scelto dal partito come candidato perché il suo nome – il nome di un “indipendente” – garantiva un equilibrio tra le opposte correnti del Pd sardo.

Ma la Babele va al di là delle posizioni di due leader forti del Pd come Ganau e Pigliaru, che ricoprono anche le massime cariche istituzionali della regione. La confusione attraversa tutto il Pd. In un primo momento il segretario regionale, Renato Soru, ha provato a schierare il partito sulle posizioni di Matteo Renzi: non andare a votare. Ma la resistenza soprattutto di Ganau, impegnato come presidente del consiglio a tenere ferma la posizione unitaria espressa da tutte le forze politiche rappresentate nell’assemblea, ha portato a una mediazione: la segreteria regionale del Pd (della quale Pigliaru, in quanto non iscritto, non fa parte) dopo un dibattito teso ha deciso di lasciare a dirigenti e iscritti libertà di orientamento. E Pigliaru non ha mancato di esercitare l’opzione. Tutti, quindi, in ordine sparso. Compreso il candidato sindaco del centrosinistra, e quindi anche del Pd, alle elezioni comunali di Cagliari che si terranno il 5 giugno: Massimo Zedda, dirigente di Sel, sindaco in carica che corre per la riconferma, ha scelto Facebook per dire come la pensa: «Io voterò sì. E credo sia sempre importante votare, qualunque sia la consultazione».

Ieri Ganau è tornato sulle ragioni che hanno spinto il consiglio a chiedere il referendum: «La consultazione ha un significato molto più ampio del quesito in sé: scegliamo quale strategia energetica il nostro paese deve portare avanti: petrolio o rinnovabili. Se dovesse vincere il sì, inoltre, ritorneremmo ad avere regole certe sulla durata delle concessioni: non esiste in nessuna parte d’Europa un arco di tempo indefinito nel quale si possa trivellare». E sulla spaccatura interna al Pd? «Faccio parte – ha detto Ganau – di un grande partito pluralista, dove le posizioni possono essere differenti. Non è un dramma. Ma sull’invito all’astensione, non ho alcun dubbio sull’errore commesso dai nostri vertici».