Il Pd emiliano si muove: «Serve una scossa federale, sì al partito del Nord»
Democrack Stasera l’incontro a Brescia. E' grande paura per le regionali del 2019. «A Roma stanno troppo fermi». Bonaccini ci pensa, forse non si ricandida
Democrack Stasera l’incontro a Brescia. E' grande paura per le regionali del 2019. «A Roma stanno troppo fermi». Bonaccini ci pensa, forse non si ricandida
Gualmini apre, Calvano rilancia. Sembra un gioco di squadra quello messo in campo dalla vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Elisabetta Gualmini e dal segretario regionale del Pd Paolo Calvano.
Per Gualmini, politologa di fama e voce di primo piano nel dibattito interno ai dem, «il Pd dell’Emilia-Romagna deve essere autonomo dal partito nazionale». Per Calvano «l’ipotesi di un Pd più federale è all’ordine del giorno, e se non lo è lo deve essere». Segno che le grandi manovre nel campo democratico non riguardano solo i nomi del prossimo segretario nazionale, ma anche la futura forma partito. E visto che i meccanismi nazionali del Pd sembrano impantanati allora – ragiona un dirigente dem emiliano – «servirà che qualcuno inizi a tirare il carro». Prima di nuove sconfitte.
A farlo, in attesa del congresso, potrebbero essere le regioni del nord. Questa sera a Brescia Calvano incontrerà i segretari Pd di Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte (unica regione assieme all’Emilia-Romagna dove il centrosinistra è ancora al governo) e lì nascerà il progetto di «un coordinamento del Pd del nord», «perché – spiega il segretario dem alla locale Radio Città del Capo – ci sono cose che ci accomunano: l’autonomia, le infrastrutture e l’economia». Per il dirigente Pd il partito dovrà mettere mano anche alla distribuzione delle risorse per raggiungere «un rapporto più equilibrato tra centro e periferia. Oggi il 2×1000, l’unica fonte di entrata extra tesseramento, è tutta concentrato a Roma». «Credo che questo sia negativo e anche sbagliato», conclude, ricordando come l’Emilia-Romagna sia già autonoma nel tesseramento, «lo facciamo da anni senza aspettare Roma».
Nessuna scissione però né iniziativa ostile rispetto all’attuale leadership. Prova ne è il fatto che la discussione questa sera sarà chiusa dal segretario nazionale Martina.
Le partite nazionali e locali però si incrociano. La regione andrà al voto nel 2019 e questa volta il Pd rischia davvero di perdere, nonostante la legge elettorale favorevole (non prevede il doppio turno). A sentire l’esigenza di una scossa è stata la vicepresidente Gualmini: «Bisogna restituire entusiasmo agli elettori».
Il ragionamento è: separare il destino politico del Pd nazionale (al momento senza voce né idee) da quello locale (che invece governa uno dei territori più prosperi d’Italia). Anche perché se le percentuali di consenso nazionali si riflettessero su quelle regionali, Pd e alleati l’anno prossimo andrebbero incontro alla sconfitta. E uno degli ultimi fortini ’rossi’ passerebbe di mano per la prima volta dal 1970 (data del primo voto regionale), come è successo in piccolo a Imola, caduta a giugno nelle mani dei 5 Stelle.
Bisogna dunque evitare la débacle. Ma le difficoltà del partito nazionale non aiutano. Da qui l’idea di una scossa in chiave federale, perché «non ci possiamo permettere l’immobilismo del Pd a Roma che sta attraversando una fase di riflessione. Dobbiamo rendere chiaro agli elettori che noi siamo e siamo stati un’altra cosa e rivendicare con orgoglio le scelte fatte», ha dichiarato Gualmini al Corriere della sera di Bologna.
A stretto giro è arrivato il rilancio di Calvano. Questa sera a discutere di partito federale e di un «coordinamento del Pd del nord» ci sarà anche Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna ma ormai in piena ed aperta riflessione rispetto ad un’eventuale corsa per la segreteria nazionale. Chi prenderà il suo posto in regione è presto per dirlo. Si fa il nome di Federico Pizzarotti, ex grillino sindaco di Parma al secondo mandato e da tempo impegnato in un percorso di avvicinamento al Pd.
Per il momento nessuno smentisce la possibilità dell’operazione, nemmeno Pizzarotti. Che però ha la tessera di un altro partito, quell’ «Italia in Comune» di cui è fondatore nonché presidente.
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