Papa Francesco crede nella pace e nel negoziato come strada per raggiungerla in ogni parte del mondo. Per questo è andato al G7, per affermare sia pubblicamente sia negli incontri riservati questo dogma. L’ha fatto, Bergoglio, nonostante in diversi Oltretevere fossero consapevoli del rischio che la sua presenza offrisse un assist a Meloni e alla destra, a un governo che, soprattutto in politica estera, rimane debole e marginale.

DA TEMPO, del resto, Meloni ha trovato una sponda in Vaticano, soprattutto in quella parte più legata a un certo moderatismo istituzionale che, oltre a mantenersi sui grandi conflitti internazionali equidistante da ogni bandiera, non transige sui temi eticamente sensibili predicando un «no» senza ripensamenti ad aborto, eutanasia e teoria del gender e, insieme, un «no» a qualsiasi proposta di cambiamento della dottrina in merito. È quel moderatismo che Francesco faceva suo quando rispondeva a marzo, poi malamente interpretato all’opposto delle sue intenzioni da una certa diplomazia di parte, a una domanda sull’opportunità di alzare «bandiera bianca» in un conflitto o quando, all’inizio della guerra in Ucraina, riportava le parole di un capo di Stato sull’«abbaiare della Nato alle porte di Mosca».

ANCORA, È A QUELLA LINEA fermamente convinta dell’esistenza di alcuni princìpi che non si possono negoziare che il Papa si riferisce quando chiude senza sconti sui temi etici e Meloni gli concede senza che lui lo chieda – è agli atti – l’espunzione dal testo della bozza finale del G7 un riferimento all’aborto. Meloni, mese dopo mese, ha guadagnato diverse sponde in Vaticano che gli hanno permesso, soprattutto in politica estera, di mostrare un’immagine di sé non troppo appiattita sulla Nato e più vicina quindi a quell’equidistanza che contraddistingue la politica estera della diplomazia pontificia. Un po’, di fatto, come faceva la Democrazia Cristiana quando sul Medio Oriente e i suoi conflitti si appoggiava alla Santa Sede palesando così una autonomia di facciata dalle posizioni americane.

FRA I DIVERSI SEGNALI, nell’operazione di avvicinamento di Meloni alla Santa Sede non è passata inosservata la presenza a fine aprile a Pescara alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia del francescano Paolo Benanti, collaboratore del Papa sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica applicata alla tecnologia. Nelle ore in cui Meloni annunciava la prima volta del vescovo di Roma al G7, Benanti offriva il suo contributo in merito alle sfide dell’IA, quelle opportunità e responsabilità sottolineate anche da Francesco in Puglia.

POI, CERTO, UN RUOLO non marginale l’ha giocato, e lo sta giocando a 360 gradi, il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano. Cattolico, appartenente al gruppo conservatore di Alleanza Cattolica, rimane un tradizionalista moderato che sa comunicare di sé quelle caratteristiche di sobrietà e moderazione che tanto piacciono nelle felpate stanze d’Oltretevere. E, insieme a Mantovano, il segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri Carlo Deodato il quale, non a caso, ha guadagnato consenso nella curia più conservatrice ai tempi della sentenza del Consiglio di Stato relativa alla trascrizione delle nozze gay fatte dai sindaci italiani sui matrimoni contratti all’estero.

FRANCESCO non ha mai appoggiato alcuna parte politica e non vuole farlo in futuro. Non era «comunista» quando il mondo conservatore statunitense lo definiva tale perché irritato dalle sue critiche rivolte alle lobby del petrolio e alle politiche legate al mondo repubblicano. Non è oggi di destra quando chiude sui temi eticamente sensibili facendo sue prese di posizione che sono anche cavalcate dal mondo conservatore. Tuttavia, Oltretevere non sono pochi coloro che, come ai tempi di Berlusconi, fanno buon viso a cattivo gioco e che, pur essendo consapevoli del rischio che il Pontefice venga manipolato, strizzano l’occhio al governo in carica. E per questo accettano che al tavolo del G7 a fianco di Meloni sieda Bergoglio; che la prima volta di un vescovo di Roma al vertice dei leader del G7 avvenga con un governo spostato a destra come l’attuale, il primo governo guidato da un partito post fascista.