Ci sono volute meno di 48 ore per la risposta pachistana all’attacco con cui l’Iran, martedì, ha colpito presunti militanti del gruppo separatista sunnita Jaish al-Adl nella città di confine di Panjgur, nel Belucistan pachistano: ieri infatti Islamabad ha condotto «azioni militari mirate ed efficaci» contro quelli che il ministero degli Esteri ha definito «terroristi di origine pachistana che si fanno chiamare Sarmachars (combattenti, ndr) e che operano negli spazi non governati dentro l’Iran», nella provincia sud-orientale del Sistan e Belucistan.

Secondo Islamabad, l’operazione militare Marg Bar Sarmachars, «morte ai combattenti», avrebbe colpito i nascondigli usati dalle organizzazioni terroristiche Balochistan Liberation Army e Balochistan Liberation Front, grazie a droni kamikaze e a missili. Prevedibile, la forte condanna del portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanaani, che ha convocato l’incaricato d’affari del Pakistan in Iran e condannato l’azione.

A BEN GUARDARE, IL BALLETTO diplomatico appare però rituale e rivolto soprattutto al pubblico interno. Il rischio di un’escalation militare è reale, ma molto contenuto. Per quanto dura e, nella modalità, inedita, la rappresaglia pachistana – ha notato tra gli altri Michael Kugelman, direttore del South Asia Institute al Wilson Center di Washington – «sembra essere stata proporzionata al precedente attacco iraniano e ha preso di mira solo i militanti e non le forze di sicurezza iraniane». Un elemento che «offre un’apertura per una de-escalation, se prevale il sangue freddo. Ma è un grande “se”».

A giudicare dai toni adottati nei comunicati ufficiali, per ora prevale. L’ufficio per le pubbliche relazioni dell’intelligence militare pachistana ha precisato che «è stata prestata la massima attenzione ad evitare danni collaterali», mentre da Teheran è arrivata la conferma che le vittime, anche se civili, sono «non iraniane».

Da Islamabad, dopo l’attacco, è arrivato l’appello a «dialogo e cooperazione» tra «nazioni fraterne». Ancora più esplicite le parole provenienti dal ministero degli Esteri: «L’unico obiettivo dell’atto odierno era il perseguimento della sicurezza e dell’interesse nazionale del Pakistan, che è fondamentale e non può essere compromesso». Ma il Pakistan «rispetta pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica islamica dell’Iran». Dopo aver alzato i toni, ieri sera anche Teheran è tornata a ribadire la piena adesione alla politica di buon vicinato.

NEL LEGGERE IL BOTTA E RISPOSTA militare tra Iran e Pakistan, oltre a paventare un’escalation meno probabile di quanto appaia, si corre un altro rischio: collocarlo esclusivamente nella cornice della guerra tra Hamas e Israele. Che ha certo alimentato tensioni regionali, ma che rischia di nascondere il grande nodo dell’indipendentismo dei beluci, sia in Pakistan sia in Iran, due dei tre Paesi, insieme all’Afghanistan, in cui è stata suddivisa la grande regione storica del Belucistan.

Jaish Al-Adla che l’Iran dice di aver colpito martedì in Pakistan, il Balochistan Liberation Army e il Balochistan Liberation Front, le cui basi il Pakistan sostiene di aver colpito ieri in Iran, fanno parte dell’ampia, frammentata galassia separatista dei beluci, di cui sono solo l’ultima espressione militare. Teheran e Islamabad si accusano reciprocamente, e da molti anni, di non sapere controllare efficacemente le aree di confine e di non saper prevenire gli attacchi dei separatisti che operano nei rispettivi territori.

Per Islamabad, i ribelli separatisti che operano dall’Iran contro obiettivi pachistani godono della compiacenza di Teheran e del pieno sostegno dell’India, storico antagonista. Per Teheran, i separatisti beluci anti-sciiti sono sostenuti da Israele, Arabia saudita, Stati uniti. Per entrambi i Paesi, sono una minaccia concreta, come dimostrato dagli attacchi registrati nel corso del 2023 contro obiettivi militari e civili.

LA RISPOSTA DEI DUE GOVERNI è la stessa: anti-terrorismo e forte repressione. Le organizzazioni per i diritti umani documentano da anni le violazioni subite dai beluci in entrambi i Paesi, con arresti, omicidi extragiudiziali, e la persecuzione anche di attivisti pacifici e contrari all’uso delle armi. La repressione colpisce chiunque sottolinei le ingiustizie: residenti in aree periferiche, desertiche ma ricche di risorse soprattutto minerarie, i beluci non godono di alcun vantaggio e scontano una forte discriminazione.

Il botta e risposta di questi giorni tra Teheran e Islamabad potrebbe risolversi presto: grazie alla consuetudine che i due Paesi hanno nello smorzare le tensioni sul confine. E grazie alla mediazione di Pechino, che ha molto investito nel corridoio energetico e commerciale che dalla provincia occidentale cinese del Xinjang arriva giù giù nel Belucistan pachistano, sfociando nel porto di Gwadar, nell’Oceano indiano. Ma non sarà Pechino a risolvere il grande noto del separatismo dei beluci, né in Iran né in Pakistan.