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Il nord di Gaza è in macerie, ma gli Usa non ci credono

Il nord di Gaza è in macerie, ma gli Usa non ci credonoBeit Hanoun prima e dopo i bombardamenti

Gaza Biden insiste: meno di 7mila uccisi. Roma chiede alle ong italiane i nomi dei dipendenti palestinesi. Oxfam avverte: c’è sempre meno cibo. L’esercito israeliano fa prove di invasione

Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 ottobre 2023
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Gentilissimi, con riferimento ai gravi eventi di queste settimane in Palestina e in risposta alle richieste di raccolta dati che ci sono pervenute, si richiede di voler trasmettere l’elenco dei nominativi del personale locale assunto sui vostri singoli Progetti promossi nel più breve tempo; se possibile, già in giornata o entro domattina».

È questa la mail che la direzione dell’Aics, l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo che fa capo al ministero degli Esteri, ha inviato da Roma ai capi dei progetti governativi e di quelli delle Ong nei Territori occupati, chiedendo, in poche parole, di avere i nomi di tutti i palestinesi (il «personale locale») che lavorano con la cooperazione italiana. Per quale motivo? Una fonte autorevole che ha chiesto l’anonimato ci ha spiegato che il fine è scrutinare i palestinesi, dall’esperto di economia al semplice autista, persone che in tanti casi lavorano da anni con l’Aics e le ong, per accertare che «non facciano parte di Hamas». Inquietante è la frase «in risposta alle richieste di raccolta dati che ci sono pervenute».

Da parte di chi: i servizi italiani? Domina anche alla Farnesina lo slogan «tutti i palestinesi sono Hamas» o, peggio, dell’Isis, mentre nei Territori occupati adesso prevale l’avversione per l’Italia e il suo governo. Non sono passate inosservate le posizioni espresse dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Tajani di sostegno agli attacchi militari di Israele a Gaza che sta subendo la popolazione civile. Hamas infatti, sino ad oggi, ha o avrebbe perduto alcuni ufficiali della sua ala armata. Ieri, afferma Israele, raid aerei mirati hanno ucciso uno stretto collaboratore di Yahya Sinwar, il capo del movimento islamico, e altri tre membri senior dell’organizzazione.

I palestinesi innocenti invece sono morti a migliaia dal 7 ottobre. Ieri hanno superato quota 7000, tra i quali minori e donne, a cui vanno aggiunti 18.500 i feriti, secondo i dati riferiti dal ministero della sanità di Gaza che ha diffuso un documento di centinaia di pagine con tutti i nomi degli uccisi. Cifre che Stati uniti e Israele mettono in discussione perché «frutto della propaganda di Hamas».

 

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa (Onu), invece pensa che Gaza si stia trasformando in un cimitero. Sul The Guardian ha invocato «un cessate il fuoco umanitario immediato per consentire un accesso sicuro, continuo e senza restrizioni al carburante, alle medicine, all’acqua e al cibo nella Striscia di Gaza», in riferimento al blocco imposto da Israele alle forniture di acqua, elettricità e carburante. «Da più di due settimane ormai, immagini insopportabili della tragedia umana escono da Gaza. La storia chiederà perché il mondo non ha avuto il coraggio di agire con decisione e fermare questo inferno sulla Terra», ha aggiunto Lazzarini ricordando che Gaza è stata negli ultimi 15 anni una grande prigione a cielo aperto.

«Oggi – ha sottolineato – questa prigione sta diventando il cimitero di una popolazione intrappolata tra guerre, assedi e privazioni». L’ong Oxfam avvertiva ieri che comincia a scarseggiare anche il cibo. Nonostante l’ingresso a Gaza di 62 camion di aiuti attraverso il valico di Rafah dallo scorso fine settimana, solo 30 hanno portato cibo alla popolazione. Prima dell’attacco di Hamas al sud di Israele, 104 camion consegnavano generi alimentari alla Striscia. Le agenzie umanitarie ripetono che gli aiuti entrati sino ad oggi rappresentano una frazione dei bisogni di circa due milioni di civili allo sbando.

Da parte loro i comandi israeliani smentiscono che nella parte meridionale di Gaza, dove sono affluiti centinaia di migliaia di palestinesi sfollati dal nord, sia in atto una emergenza umanitaria. All’Unrwa che lamenta la mancanza di carburante per le sue operazioni di assistenza ai civili, il portavoce militare ha detto di farsi dare benzina e gasolio da Hamas che, a suo dire, ne avrebbe a disposizione in abbondanza. A migliaia di chilometri di distanza da Gaza, al suo arrivo al vertice Ue, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è premurato di ribadire che «Israele è uno Stato democratico con principi molto umanitari che lo guidano ed è per questo che potete essere certi che anche l’esercito israeliano rispetterà le regole derivanti dal diritto internazionale in ciò che fa. Non ho dubbi».

In questi giorni, oltre a foto e video degli edifici che crollano sotto bombe e missili e ai morti e feriti estratti a centinaia dalle macerie, giungono storie di giovani vite spezzate e di sogni che resteranno irrealizzati. Nazir al Nashash, un giovane e talentuoso calciatore, la stella del Khadamat al-Bureij, visionato da vari club arabi e desideroso di diventare un professionista, è stato ucciso insieme a suo padre e suo zio.

Erano scappati dal nord, dopo l’intimazione dell’esercito israeliano di abbandonare la metà settentrionale di Gaza in vista dell’offensiva di terra. Poi sono tornati nel loro appartamento per recuperare un po’ di cose e generi di prima necessità. «Al loro ingresso – ha raccontato un parente – un aereo ha colpito la casa con un missile, poi con un altro, uccidendoli sul colpo». Nazir non è l’unico atleta tra le 7mila vittime di Gaza. Nei primi giorni dopo il 7 ottobre è rimasto ucciso un giocatore della nazionale di basket, Basem al Nabahin.

Il nord di Gaza dove Nizar il calciatore, suo padre e suo zio hanno incontrato la morte, assomiglia sempre più a un paesaggio lunare dopo migliaia di bombe sganciate dall’aviazione di Israele. La stessa stampa israeliana pubblica foto che mostrano come interi quartieri dei centri abitati di Gaza siano diventati enorme distese di macerie. Il Jerusalem Post ha diffuso ieri una immagine scattata dall’alto, forse da un aereo o un satellite, con la città di Beit Hanoun prima e dopo il 7 ottobre. Dove c’erano centinaia di case, oggi ci sono i resti di abitazioni che sembrano essere state distrutte da un terremoto. Non è diverso in tante altre zone di Gaza. Il ministero palestinese per l’edilizia stima in circa 200.000 le case danneggiate o distrutte dai bombardamenti.

Quando comincerà l’offensiva di terra contro Hamas e contro Gaza «promessa» dal premier Netanyahu agli israeliani e quali forme avrà, non può dirlo nessuno. Ieri però, poco prima dell’alba, reparti israeliani sono entrati nella Striscia con mezzi corazzati e bulldozer. Dopo ore di scontri a fuoco, si sono ritirati. Per alcuni, questa incursione è un esempio dell’offensiva con cui Israele sostiene di poter distruggere Hamas.

Il portavoce militare qualche ora dopo ha comunicato che l’esercito continuerà questi raid di terra, che andranno avanti con maggiore forza nei prossimi giorni. Con un discorso alla tv il ministro della Difesa Yoav Gallant ieri ha assicurato che Israele vincerà la guerra e ha promesso «sforzo supremo» per liberare gli oltre 200 ostaggi israeliani e stranieri nelle mani di Hamas a Gaza (una cinquantina sarebbero lavoratori thailandesi). Dal Qatar fanno sapere che i negoziati in corso potrebbero convincere il movimento islamico a rilasciare alcune decine di ostaggi nei prossimi giorni.

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