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Il Muslimban ritorna: la Corte suprema dà il via libera a Trump

Il Muslimban ritorna: la Corte suprema dà il via libera a Trump – Lapresse

American Psycho Accettato il ricorso del governo. La Casa bianca ne approfitta e annuncia nuovi tagli al numero di rifugiati accolti nel paese. Il Dipartimento di giustizia ha scagionato i sei agenti di Baltimora coinvolti nella morte di Freddie Gray, il giovane ucciso nel 2015: le prove sarebbero insufficienti

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 14 settembre 2017

Continua la battaglia di Trump per il Muslimban, il provvedimento che impedisce l’ingresso begli Usa a cittadini di sei nazioni prevalentemente musulmane: martedì la Corte suprema ha temporaneamente concesso all’amministrazione Trump la facoltà di impedire a circa 24.000 rifugiati di entrare negli Stati uniti, fino al 10 ottobre prossimo, quando la Corte sentirà le parti coinvolte nella disputa legale.

QUESTA DECISIONE SOSPENDE una parte della sentenza della settimana scorsa della Corte d’Appello del nono circuito di San Francisco, in base alla quale un tribunale delle Hawaii aveva deciso che il Muslimban non poteva essere applicato ai rifugiati che sono parte del programma Usa di ammissione o che hanno ricevuto rassicurazioni formali da parte di agenzie di ricollocamento.
Trump vorrebbe che il divieto durasse 3 mesi per i cittadini dei sei paesi nel mirino (Siria, Libia, Iran, Somalia, Sudan, Yemen) e 4 mesi per i rifugiati. Così facendo, sostiene Trump, il paese avrebbe tempo per valutare le procedure di controllo e impedire l’ingresso a possibili terroristi.

PER TRUMP, pur essendo temporanea è comunque una vittoria; l’ultimo intervento fatto dalla Corte Suprema, in vista dell’appuntamento del 10 ottobre, è il terzo dallo scorso 26 giugno quando il massimo organo giudiziario americano aveva dichiarato che il travel ban, annunciato con un contestatissimo ordine esecutivo il 6 marzo, poteva entrare in vigore ma non includere chi ha relazioni in «bona fide» con persone o organizzazioni Usa.

Il 19 luglio la Corte suprema era intervenuta una seconda volta vietando all’amministrazione di impedire i viaggi ai membri di una famiglia allargata, zii, nonni, cugini; il ban, quindi, vale solo per i rifugiati e non per chi ha parenti o relazioni lavorative ed economiche in Usa.

Stando a quanto dichiarato dal New York Times, inoltre, alla Casa bianca ci sono anche forti pressioni affinché il tetto di rifugiati da ammettere negli States venga abbassato sotto la soglia delle 50mila unità previste dallo stesso Trump, vale a dire meno della metà dei 110mila rifugiati che l’ex presidente Obama disse dovevano essere ammessi nel 2016.

SUL LIMITE DEI RIFUGIATI accolti non è stata presa alcuna decisione ufficiale ma pare che la linea dura anti-accoglienza sia capeggiata dal consigliere di Trump, Stephen Miller, arrivato a proporre un tetto di 15mila unità, per un paese che conta 360 milioni di abitanti, e per rifugiati che scappano per lo più da guerre che vedono il coinvolgimento attivo proprio degli Stati uniti.

Per legge Trump deve consultare il Congresso e prendere una decisione entro il primo ottobre, a inizio del nuovo anno fiscale. Se davvero la cifra dell’accoglienza dovesse essere ridotta, sarebbe la seconda volta in 15 giorni che il presidente usa la propria autorità per ridurre il flusso di migranti, vista la decisione di smantellare il Daca, Deferred Action for Childhood Arrivals, voluto da Obama e in vigore dal 2012 per proteggere dall’espulsione i cosiddetti Dreamers, persone arrivate negli Stati uniti da bambini con genitori illegali. Trump ha lasciato al Congresso il compito di legiferare sull’argomento, entro i prossimi sei mesi.

MA NELL’AMERICA DI TRUMP non sono solo gli stranieri ad essere marginalizzati, perché lo stesso tipo di trattamento viene riservato alla comunità afroamericano. Il Dipartimento di giustizia ha scagionato i sei agenti di Baltimora coinvolti nella morte di Freddie Gray, giovane afroamericano che nel 2015 è morto dopo essere stato caricato a forza su una camionetta della polizia, vittima poi di lesioni letali alla spina dorsale mentre era in custodia delle forze dell’ordine.

LA POLIZIA SI È SEMPRE DIFESA dicendo che il 25enne era caduto da solo sbattendo violentemente, ma non è mai sembrata una versione supportata da prove necessarie.

L’episodio della sua morte aveva scatenato proteste violentissime a Baltimora, con una parte della città messa a ferro e fuoco e l’azione per verificare l’eventuale violazione dei diritti civili da parte dei sei agenti di polizia era stata avviata durante l’amministrazione Obama.

«Dopo una lunga revisione di questo tragico evento, condotta da procuratori e investigatori con lunga carriera, il dipartimento di giustizia ha concluso che le prove sono insufficienti» ha detto il dipartimento in una dichiarazione, aggiungendo di non essere stato in grado di dimostrare che i poliziotti «abbiano intenzionalmente violato i diritti civili di Gray ».

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