Il gran finale di Meloni è l’annuncio del riscatto
Comizio lampo a Bagnoli per chiudere sul Tg2. Vittimismo e promesse che la pacchia, degli altri, è finita. «Ho la giacca rosa, faccio paura?»
Comizio lampo a Bagnoli per chiudere sul Tg2. Vittimismo e promesse che la pacchia, degli altri, è finita. «Ho la giacca rosa, faccio paura?»
«Mi sono messa anche la giacca rosa, con i pantaloni bianchi sembro una meringa. Dite che faccio paura?». La risposta alla fine.
Arriva a passo svelto e va via di corsa, a Bagnoli. Giorgia Meloni è stanca, ma ormai è finita. «Ragazzi…», dice ai giornalisti che tentano di fermarla sotto al palco, agita le mani giunte, sgrana gli occhi: «C’ho mezz’ora».
Sale. Si appende al braccio di Fabio Roscani, trentaduenne, diplomato, capo della gioventù meloniana, prossimo deputato (è capolista nella Camelot di Fratelli d’Italia, l’Abruzzo). Ha ancora un ultimo palco. «Di più non potevo fare», sospira. Si stacca e va.
L’ultimo comizio è un set per le telecamere. Lo stage è una passerella tipo sfilata o concerto rock, parallelo alla linea di costa. Splende ancora il sole. Ha davvero mezz’ora. «Devo fare un’intervista al Tg1 e una al Tg2». Attorno alla passerella Roscani ha schierato solo «under 30» – li cercano tra la folla e li portano avanti. Tolti loro, dietro sono quasi solo anziani. Non tanti. La moquette di prato verde che copre la sabbia resta mezza vuota. Ma i pullman stanno ancora arrivando quando Meloni ha già finito.
C’era un’idea, la sentiamo nelle chiacchiere dell’attesa: «I giovani le fanno le domande e Giorgia risponde». Oggi questi della Gioventù nazionale – a proposito di simboli, il loro è rimasto quello del Fronte della gioventù missino, senza troppe storie – hanno tutti le magliette con la scritta Legio, nel senso di legione. C’è anche il disegno di una spada, anzi di quella spada, il gladio romano. Ma alla prima domanda – una cosa tipo: perché il Pd è statalista? – Meloni parte con il suo comizio. Il suo comizio contro.
Contro il cioccolato turco che vuole sostituire il cioccolato italiano (smorfia di disgusto). Contro Bernard Henri Levy che parla alla Rai (lo imita, fa la voce da filosofo francese), la Rai di sinistra (la Rai del Tg2 che la aspetta per darle l’ultima parola prima del silenzio elettorale). Contro il reddito di cittadinanza: «Lo Stato ti paga per stare sul divano a farti una bella canna». Contro le canne: «Gli spacciatori devono avere paura di noi». Contro lo Stato: «La ricchezza la fanno le aziende e lo Stato non deve rompergli le scatole». Contro il Pago Bancomat e il tetto al contante. Contro «la sinistra che sputa addosso alla sua nazione». Contro l’Europa che «ci dice come cucinare gli insetti». Contro «il circolo del golf di Capalbio», contro i tiktoker che le fanno il verso, contro «i cantanti di sinistra» che l’attaccano mentre quelli di destra «stanno zitti altrimenti non li fanno lavorare».
Nel frattempo arriva la notizia che il Pd a Roma non ha trovato nessuno disposto a cantare al comizio finale di Letta. Ma il vittimismo è un genere non per forza realistico. Meloni ne è tornata maestra: Lei ha la matrice, ma ha anche la scuola di Berlusconi: «Oggi puoi lavorare solo se hai la tessera del Pd, se vinciamo finisce l’egemonia di potere della sinistra». E siamo al cuore dei comizi finali, quelli in cui dopo aver allargato al massimo il consenso, come insegnano tutti i manuali di campagna elettorale, bisogna tornare a motivare la propria base. Anche al comizio lampo di Bagnoli, che è l’ultimo, c’è l’annuncio del «ritorneremo». «Ci attaccano con ogni mezzo perché hanno capito che se andiamo noi al governo è finita la pacchia». Finisce la pacchia loro. Comincia la pacchia nostra. «E quindi uscimmo a riveder le stelle», dicono le magliette della Gioventù nazionale dal lato della schiena, quello senza la spada.
Il sole alto sull’Arenile si è mosso appena. «Scusate se vi ho fatto venire qui in questo orario scomodo». Al largo ci sono un motoscafo della Guardia di Finanza e uno della Capitaneria di Porto. Sulla strada camionette di tutti i corpi di polizia. Ce n’erano anche di più poco prima a Chiaia, quando Meloni era attesa nella sede dell’Unione industriali. Prima di lei sono arrivati le ragazze e i ragazzi di Potere al popolo di ritorno dal Friday for future. Sono riusciti a contestarla con la mani imbrattate di nero. Gli scudi di Carabinieri e Polizia li hanno tenuti lontani, ma Meloni è dovuta entrare di nascosto nel palazzo di Confindustria. Dal retro.
«Ho visto tanta polizia, mi dispiace ma non è colpa mia». Ha detto lei. Sempre correndo. Al comizio hanno cominciato a cantare «Giorgia Giorgia» e lei ha fatto due salti. Solo due. «Scusate devo andare». Quasi dimenticava due parole sul sud. Veloci. «Il mezzogiorno può essere il grande hub per dare energia a tutta Europa». Prego? Non c’è tempo. «Ciao Napoli!». Corsa in macchina. Parte la musica. È la stessa che usava il Pd. Ma qui sembra più vera, mentre sventola il bandierone con il simbolo di Fratelli d’Italia. Il cielo è sempre più blu. E sì, fa paura.
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