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Il governo va in confusione sull’istallazione delle rinnovabili

Eolico e fotovoltaico Il ministro Fratin dà libertà alle regioni nell'individuare le aree idonee, Lollobrigida mette paletti. Legambiente: «Poco fondato l’11% di energia elettrica da nucleare al 2050»
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 4 luglio 2024

La strada della transizione energetica è lastricata di buone intenzioni, ma non sempre le iniziative del governo italiano le rispettano: ieri, ad esempio, è stato pubblicato sulla Gazzeta Ufficiale il decreto che disciplina l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico, che secondo alcuni crea soltanto confusione. Emanato il 14 giugno scorso dal ministero dell’Ambiente, il provvedimento prevede infatti che siano le regioni a redigere la mappa delle aree idonee sul loro territorio entro un termine perentorio di «180 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta».

La vita del provvedimento, però, s’intreccia con quella del dl Agricoltura voluto dal ministro Lollobrigida, che «vieta in maniera indiscriminata in alcune zone senza senso il fotovoltaico a terra» commenta Legambiente, mentre questo decreto ministeriale «dà libertà assoluta alle regioni su dove definire le aree idonee per gli impianti a fonti rinnovabili»: c’è confusione, insomma, anche perché tutto questo accompagna un nuovo Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che presenta uno scenario definito da Legambiente «abbastanza inconsistente e poco fondato dell’11% di energia elettrica da nucleare al 2050, che può arrivare fino al 22%», un insieme che secondo il presidente Ciafani comporta «distrazioni e ostacoli che non renderanno la vita semplice alla filiera delle rinnovabili, che continua a lavorare nonostante tutto» (con il 75% degli italiani contrario al nucleare).

Nel 2021 abbiamo installato 1,5 gigawatt di nuovi impianti, nel 2022 sono diventati 3, nel 2023 sono diventati 6 ma, come evidenzia anche la tabella allegata al decreto, il tasso di crescita dovrà essere superiore, fino a 12 gigawatt in media all’anno, per un totale di 80 gigawatt al 2030. Nella tabella allegata al decreto aree idonee figura inoltre un obiettivo importante anche per la regione Sardegna, che però ieri ha legiferato una moratoria che blocca ogni nuovo impianto per un massimo di 18 mesi: l’isola dovrebbe raggiungere una capacità installata pari a 6.264 megawatt entro il 2030. L’obiettivo per l’isola è il più consistente d’Italia dopo quelli attribuiti a Sicilia, Lombardia, Emilia-Romagna e Puglia. Il decreto prevede anche l’aiutino: «Ai fini del raggiungimento dei rispettivi obiettivi, le regioni e le province autonome possono concludere fra loro accordi per il “trasferimento statistico” di determinate quantità di potenza da fonti rinnovabili». In pratica, l’impianto magari è a Malles ma, se la Provincia autonoma di Bolzano fa un accordo con la regione Basilicata, può figurare a Metaponto.

Resta da capire, nella definizione delle aree idonee, in che modo le regioni terranno conto di quanto descritto puntualmente nel decreto. Ovvero dell’importanza di tutelare il patrimonio culturale e il paesaggio, le aree agricole e forestali, la qualità dell’aria e dei corpi idrici, e in che modo riusciranno a privilegiare «l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica». Il tutto, poi, tenendo conto anche delle problematicità collegate alle infrastrutture di rete e alla dislocazione della domanda elettrica, tutte questioni che affronta ad esempio chi nelle aree interne sta avviando comunità energetiche rinnovabili.

Tra le voci critiche il Forum Acqua Abruzzo: «In Abruzzo entro il 2030 dovrà essere installata una capacità aggiuntiva di almeno 2.092 megawatt di rinnovabili rispetto al valore del 2020. Per dare un ordine di grandezza, corrisponderebbero a circa 300 torri eoliche di ultima generazione alte 270 metri». Il problema non sono i nuovi impianti, che vanno fatti, ma «bisogna governare il processo e pianificare attentamente l’uso del territorio anche per evitare il “rigetto” da parte delle comunità interessate» spiega Augusto De Sanctis del Forum. Parla di partecipazione, a cui l’Italia e la maggioranza sono allergici.

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