La casa rappresenta il bene primario attorno alla quale le persone costruiscono il proprio futuro e il punto di partenza per le relazioni sociali» ha detto Giorgia Meloni appena una settimana fa, partecipando all’assemblea di Confabitare, associazione di categoria dei proprietari immobiliari. Ma è un fatto che nel pieno della grande crisi, dell’inflazione alle stelle e del caro bollette, il governo ha scritto una legge di bilancio che praticamente non prevede nulla sull’esigenza primaria del diritto all’abitare. Scorrendo gli articoli della manovra si trova molto poco, giusto la conferma delle agevolazioni per gli under 36 nell’acquisto della prima casa e la possibilità di avere la garanzia dello Stato sul mutuo fino all’80%.

L’IDEOLOGIA della destra è tutta ancorata al diritto assoluto della proprietà: non si prevede il rilancio dei servizi e anzi si taglia il sostegno all’affitto per gli insolventi incolpevoli. Soltanto pochi mesi fa, peraltro, un cartello di sindacati degli inquilini aveva espresso le proprie al governo, rivendicando la necessità di misure. I dati rilevati dall’Istat indicano che 866 mila famiglie povere, circa il 43% del totale delle famiglie in povertà assoluta, vivono in affitto. Sono quelli che rischiano dopo la sospensione del blocco degli sfratti prevista per la pandemia e che soffriranno i tagli ai bonus e le limitazioni al reddito di cittadinanza, che contiene anche misure di sostegno al pagamento dell’affitto. Qualche giorno fa, le 700 sigle che aderiscono alla rete «Non per noi ma per tutte e tutti» che si batte contro il carovita e che manifesterà in tutto il paese il prossimo 21 dicembre hanno riassunto così le rivendicazioni sul tema dell’abitare: «Chiediamo che sia garantito il diritto all’abitare con un Piano casa strutturale che metta al centro la dignità e i diritti delle persone; il recupero e l’efficientamento energetico di immobili pubblici e privati in disuso per incrementare il patrimonio pubblico immobiliare; la ricapitalizzazione del fondo sociale affitti e quello per la morosità incolpevole; uno stanziamento immediato per i Comuni che permetta di acquisire il patrimonio libero degli enti previdenziali e di altri enti pubblici; l’eliminazione del privilegio della cedolare secca sui contratti a libero mercato».

AL CONTRARIO, arrivano segnali in controtendenza anche rispetto ai piccoli spiragli che potrebbero riaprirsi. È accaduto a Roma, dove dopo mesi di mobilitazioni sindacati e movimenti di lotta per la casa hanno persuaso la maggioranza di centrosinistra in consiglio comunale a votare una mozione che aggira gli effetti del decreto Lupi. Il ministro delle infrastrutture, che ha la delega alle politiche della casa, ai tempi del governo Renzi ha varato la misura che impedisce a chiunque viva in un’abitazione considerata irregolare di ottenere la residenza. È un dispositivo che ricorda quello in vigore durante il fascismo, quando l’urbanizzazione faceva paura al regime, che fu cancellata soltanto nel 1964, sulla spinta del popolo delle baracche e delle periferie che rivendicava, appunto, pieni diritti di cittadinanza. Gualtieri ha emanato una direttiva che ripristina la possibilità di avere la residenza e accedere ai servizi anche per le decine di migliaia di romani che vivono in alloggi occupati o in case di fortuna. È la prima condizione per uscire dalla povertà assoluta. Eppure, il prefetto in sintonia con la protesta delle destre in Campidoglio ha chiesto al sindaco di «correggere» la direttiva. Che allo stato risulta ancora ferma negli uffici di Roma Capitale.