Di fronte alla proposta di ridurre il tempo di accensione della lampadine, il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, sorride: «Saremo un paese più romantico». Un sorriso amaro, però, perché i contenuti del «Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale» rappresentano, a suo avviso, un grave errore da parte del governo.

Perché?
Questo è il secondo errore dell’esecutivo, che dopo aver fatto shopping di gas in tutto il mondo adesso spinge addirittura i proprietari delle centrali a carbone ad andare al massimo. Si tratta di due errori perché di fronte all’emergenza sono solo due soluzioni tampone che non vengono affiancate alla vera risposta alla dipendenza del nostro Paese dall’estero e dalle fonti fossili, ovvero riuscire a sfruttare più velocemente il potenziale delle energie rinnovabili. Posso comprendere queste misure in una logica d’emergenza, perché se la Russia chiude il gas verso l’Europa qualcosa dobbiamo fare, ma francamente continuiamo a non capire perché – per stare sulla costa dell’Emilia-Romagna – basteranno quattro mesi per autorizzare il rigassificatore galleggiante di Ravenna ma sono 4 anni che l’impianto eolico davanti alla costa romagnola è in attesa dell’autorizzazione. Un intervento su cui anche la Regione Emilia-Romagna s’era scatenata contro, prima che l’azienda rimodulasse il layout dell’impianto. Continuiamo a lavorare sulle fonti fossili molto più di quanto facciamo sulle rinnovabili.

Il «Piano» del governo punta molto sulle misure individuali: ha senso?
Le misure legate ai cittadini ci trovano più che d’accordo: 15 anni fa quando all’interno dell’associazione mi occupavo di energia erano le nostre proposte per uno stile di vita più consapevole. Leggendo il riferimento alle docce più corte o più fredde, ho avuto un déjà-vu. Però nel 2022 siamo in un altro momento storico e oggi dobbiamo decidere se semplicemente vogliamo usare il gas degli altri Paesi in maniera più parsimoniosa, oppure se vogliamo ridurre l’uso del gas, perché il ministero della Transizione ecologica avrebbe dovuto lavorare per tagliare con l’accetta i tempi di autorizzazione degli impianti da fonte rinnovabile, che non è avvenuto. Il governo avrebbe dovuto fare alcune cose negli ultimi dodici mesi, da quando cioè le bollette hanno preso a salire, a causa delle speculazioni dei produttori di gas.

Ha parlato di déjà-vu: arriviamo con 15 anni di ritardo?
Il governo non dovrebbe ricordarsi di incentivare comportamenti virtuosi solo perché Putin minaccia di chiudere un gasdotto: non le contesto, ma sono il minimo sindacale, sarebbe servita un’azione di comunicazione dai primi anni Duemila, non solo adesso. Del resto, però, sappiamo che la riduzione dei consumi rende poco felici i produttori di gas. Se la tecnica prevalente è quella della semplice diversificazione dei fornitori, significa solo lavorare per rendere felici altri signori del gas. In più, l’azione di governo che punta a risparmiare un po’ dipende da misure potenziali e volontarie, con indicazioni poco pressanti su controlli ed eventuali sanzioni. Ci dovremmo mettere in testa che se non tagliamo i consumi in modo strutturale, continuiamo a fare il gioco dei produttori di carbone e di quelli di gas. Le energie rinnovabili hanno un grande difetto: non dobbiamo comprarle da nessuno. Sole e vento sono gratis. Ecco perché il ritardo nella sburocratizzazione degli iter autorizzativi è inaccettabile.

Sulle rinnovabili il documento è evanescente. Che cosa dovrebbero fare i ministeri?
La prima questione strutturale riguarda il potenziamento della Commissione VIA VAS, in termini di mezzi e persone: si stanno cumulando i progetti e la commissione fa fatica a gestire. Invece il ministero della Cultura avrebbe dovuto e dovrebbe aggiornare le linee guida sull’installazione delle rinnovabili, che vale per i centri storici e l’eolico sui crinali. Questo anche per permettere gli impianti eolici e fotovoltaici integrati nel paesaggio, evitando i pareri arbitrari delle Soprintendenze, che nove volte su dieci sono contrarie a qualsiasi progetto. Vanno aggiornate anche le linee guida: nel 2010 non esisteva la tecnologia per l’eolico offshore e nemmeno l’agrivoltaico, che non consuma suolo e permette di coltivare. Il ministero della Mobilità sostenibile invece dovrebbe approvare il piano di gestione degli spazi marittimi. E poi manca un aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e l’adozione del Piano d’adattamento alla crisi climatica, presentato nel 2018. È passata una legislatura, tre governi e due ministri, ma siamo ancora qui: alla bozza pubblicata da Galletti, nel giugno di quattro anni fa.