«Il governo rema contro le rinnovabili»
Intervista Maria Grazia Pedulla, responsabile clima ed energia del Wwf, critica il Piano nazionale integrato (Pniec) che il ministro Pichetto Fratin ha consegnato a Bruxelles: «Puntano sul fossile e fantasticano sul nucleare»
Intervista Maria Grazia Pedulla, responsabile clima ed energia del Wwf, critica il Piano nazionale integrato (Pniec) che il ministro Pichetto Fratin ha consegnato a Bruxelles: «Puntano sul fossile e fantasticano sul nucleare»
Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che il governo Meloni ha appena consegnato a Bruxelles guarda all’indietro. E’ negativo il giudizio che Maria Grazia Midulla, responsabile Clima ed energia di Wwf Italia, dà del documento firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin che delinea le scelte di fondo che l’Italia dovrebbe seguire nel processo di riconversione energetica.
Perché il Pniec non va bene?
Il primo motivo per cui le scelte di Pichetto Frattin non ci piacciono è che sulle fonti di energia rinnovabili fissano obiettivi di crescita che sono persino al di sotto di quello che gli operatori economici hanno dichiarato di poter fare. Le imprese dicono di avere una capacità di investimenti che consentirebbe di realizzare impianti di rinnovabili per un certo numero di GWatt l’anno e il Pniec sottostima, resta al di sotto di quella soglia. Dicono a parole di voler puntare sulle rinnovabili però alla fine è sul gas che continuano a puntare. E’ sul metano che compiono atti precisi, non sulle rinnovabili. Basti pensare alle navi rigassificatrici: in pochi mesi hanno superato tutti gli ostacoli burocratici rendendo possibile la posa di una nave a Piombino, dentro un porto. Tutte le rigidità amministrative sono state cancellate senza problemi. Sulle rinnovabili, invece, c’è sempre la retorica del «bisogna semplificare», e non si fa niente di concreto. Per cui, laddove si dovrebbe semplificare non si semplifica e laddove non si dovrebbe semplificare si semplifica. Un doppio passo: veloce per il gas e lento per le rinnovabili. I dati forniti dal ministero dell’Ambiente delineano per il 2030 come obiettivi per l’Italia una quota del 40% di rinnovabili nei consumi finali lordi di energia (ad oggi il dato è fermo al 19%), per arrivare al 65% per i consumi solo elettrici (oggi al 31,1%). E’ un passo indietro: l’accordo provvisorio raggiunto lo scorso marzo tra Consiglio e Parlamento europei prevede di portare le rinnovabili a coprire entro il 2030 almeno il 42,5% dei consumi lordi (l’obiettivo raccomandato agli Stati membri è il 45%), mentre l’Italia si ferma al 40%.
Nel nuovo Pniec si sceglie anche di puntare sulla tecnica di cattura e stoccaggio sottoterra della CO2, la cosiddetta «Carbon Capture and Storage».
Certo. Invece di utilizzare le rinnovabili per evitare di immettere nell’atmosfera CO2, si continua a bruciare combustibile fossile perché poi tanto la CO2 prodotta la puoi mettere tranquillamente sotto terra. E’ una scelta particolarmente indicativa degli orientamenti pro fossile del governo. Non soltanto perché si ipotizza di continuare a emettere una quantità rilevante di CO2 quando l’obiettivo dovrebbe essere l’azzeramento. Ma anche perché tutte le evidenze tecniche ed economiche sinora in nostro possesso mostrano come la Carbon Capture and Storage sia una scelta fallimentare. Il progetto Eni in Gran Bretagna, per fare un solo esempio, è andato male. Per non dire delle perplessità della comunità scientifica internazionale sui rischi legati a un utilizzo su larga scala della Carbon Capture and Storage. Lo ripeto, quella del ministro Pichetto Fratin è una scelta che guarda all’indietro: avendo come alternativa le fonti rinnovabili, pur di continuare a usare il fossile si impiegano i soldi dei cittadini per catturare la CO2, con uno speco energetico enorme e con progetti che molto spesso arrivano al fallimento.
E poi nel Pniec c’è anche il nucleare.
E qui devo dire che si fantastica, veramente si fantastica. Di fattibilità, di piccoli reattori, di tecnologie di ultima generazione. Tutte cose indimostrate e indimostrabili. Oggi l’IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia ci dice che da vento e sole viene l’energia più a basso costo. Le rinnovabili non sono più una promessa ma sono una realtà galoppante. Di fronte alla quale noi scegliamo la Carbon Capture and Storage e del nucleare, tecnologie pericolose e scarsamente efficienti sul piano economico, che come unico vantaggio hanno quello di far guadagnare molto qualcuno. E nel caso del nucleare sono anche incompatibili con una scelta fatta con due referendum.
Contemporaneamente il Pniec continua a spingere sul gas.
Spinge sul gas essenzialmente perché non prevede alcuna seria misura per l’abbattimento della quota di CO2 emessa in atmosfera. Si finisce per andare sempre dalla stessa parte, dalla parte del fossile. Sostituire fossile con fossile, carbone con gas e magari ancora con petrolio, è una scelta folle.
Tanti passi indietro. Compreso quello che sembra delinearsi in Sardegna.
In Sardegna c’è una campagna contro eolico e fotovoltaico che non permette un’analisi di merito che sia in grado di individuare i modi migliori per fare le rinnovabili. Che dobbiamo passare a fonti non fossili non c’è dubbio, che la Sardegna abbia una enorme potenzialità non c’è dubbio. Per l’isola è la via più conveniente anche dal punto di vista dell’autonomia, dell’indipendenza energetica. Ovviamente le rinnovabili vanno fatte bene. Ma la campagna in corso a tutto punta tranne che a individuare i modi migliori per farle.
Uno studio commissionato dal Wwf nel 2021 all’Università di Padova e al Politecnico di Milano dà in proposito indicazioni importanti.
Sì, quello studio mostra due cose. La prima è che in Sardegna esistono le condizioni per passare a un sistema di produzione energetica tutto da rinnovabili. Attualmente il 70 % dell’energia prodotta nell’isola viene dal carbone. Il resto è idroelettrico, eolico e fotovoltaico. E l’isola è l’unica regione italiana a non essere compresa nella rete nazionale di distribuzione del metano. Esiste quindi una straordinaria occasione per sostituire il carbone con le rinnovabili e arrivare a un sistema all green. La seconda cosa che lo studio dice è che non solo c’è un quadro nazionale in cui le risorse finanziarie per investimenti in energie alternative sono facilmente reperibili, ma anche che per la Sardegna le ricadute occupazionali sarebbero molto importanti.
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