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Il giorno dei Clinton

Il giorno dei Clinton

Convention La prima donna candidata alla presidenza degli Usa, Sanders chiede di sospendere il voto per nominarla all’unanimità

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 28 luglio 2016
Giulia D'Agnolo VallanINVIATA A FILADELFIA

Tra rituali delle convention, il roll call – in cui ogni delegazione «consegna» i suoi voti per il conteggio finale che sancirà la nomination del candidato presidenziale – è uno dei più folkloristici. Prima di rilasciare le cifre, i delegati declamano le bellezze naturali o artistiche dei loro Stati, grandi americani che ci sono nati, grossi precedenti politici, battaglie storiche, invenzioni … È un processo festoso, divertente nella sua completa mancanza di ironia, che dura ore e che, nella hall di martedì, non rifletteva le asperità del pomeriggio precedente. Quasi tutti i portavoce degli Stati, al momento della consegna dei voti a Hillary, la chiamavano già, nell’esultanza generale, «il prossimo presidente degli Stati Uniti» e «la prima donna ad essere eletta presidente degli Stati Uniti».

Di lettera in lettera (il roll call va per ordine alfabetico) l’emozione cresceva, anche perché ci si stava avvicinando al Vermont. Girava voce che Sanders sarebbe riapparso e, mano a mano che la lettera v si faceva più vicina, la folla confluiva alla base degli spalti dove stavano i delegati del suo Stato.

Il turno del Vermont

Alla fine, con un piccolo re-shuffling dell’alfabeto, il Vermont è arrivato per ultimo e Sanders, spuntato di colpo tra sua moglie e l’altro senatore dello stato Patrick Lehy, ha chiesto di sospendere il voto e di proclamare la nomination di Hillary Clinton: all’unanimità. Un ennesimo gesto, il suo, architettato per sottolineare la comunanza d’intenti, e che la sala ha accolto con un boato di entusiasmo e cartelli colorati sventolanti ovunque, in cui sono state affogate le defezioni dei «Bernie or bust» (o Bernie o niente).
Anche in questa sua ultima coreografia, Sanders è stato generoso e impeccabile. Intorno a me c’erano parecchi occhi umidi, di gratitudine e di ammirazione.                              

28desk usa clinton

Con l’uscita di scena di Bernie – anche se non dei suoi supporters che protestavano ancora a sera tarda – il focus qui a Philadelphia si è spostato su Hillary. Politici, attivisti, l’ex segretario di Stato Madeline Albright, le attrici Lena Dunham e America Ferrera, l’attore Tony Goldwyn hanno punteggiato un pomeriggio di brevi apparizioni «pro Hillary», di cui la piu’ significativa e stata quella di Reed Veal, Sabrina Fulton, Lucy McBath, le madri di Sandra Bland, Treyvon Martin e Jordan Davis – uccisi per nessuna ragione dalla polizia o (come nel caso di Bland) mentre in loro custodia.

L’arrivo di Bill

Come sempre, il pezzo grosso della giornata è arrivato ultimo. Cartelli verticali con su scritto America sono stati frettolosamente distribuiti tra i partecipanti mentre il numero di agenti segreti presenti sul floor si infoltiva, in attesa dell’arrivo del quarantunesimo presidente degli Stati Uniti.
Grandissimo comunicatore, e uomo che ama essere sotto la luce dei riflettori, Bill Clinton martedì sera aveva il compito di descrivere sua moglie. Si trattava di un discorso importante per via del rapporto di odio/amore che gli americani hanno con i Clinton, con l’aura di controversie che si portano dietro, e che si riflette anche sulla complicata percezione di Hillary da parte del pubblico. «Non mi piace» o «Non mi fido» sono le due risposte più sentite quando si chiede di lei. Se si sollecita una spiegazione più articolata, non si va quasi mai più in là di questa reazione «di pancia». Purtroppo non molto dissimile a quella che fece sì che molti americani votassero Bush invece di Kerry, perché con lui si sarebbero fatti più volentieri una birra…

In generale, Bill Clinton, e’ molto più amato di Hillary. Notevolmente più magro, quasi fragile, di quando era presidente, Clinton – le cui uscite in favore della moglie in campagna elettorale sono spesso state dei boomerang – ha scelto per il discorso di martedì un taglio antitrionfalistico, intimo. «Nella primavera del 1971 ho conosciuto una ragazza…», ha cominciato l’ex presidente – tratteggiando con delicatezza il corteggiamento, la prima visita alla famiglia Rodham, in Illinois (padre conservatore, con un passato militare, come i fratelli. La madre invece più morbida), le prime due domande di matrimonio puntualmente rifiutatate, l’arrivo della figlia Chelsea. E tracciando, insieme ai dettagli biografici la fisionomia di un personaggio, fin da giovane, costantemente impegnato ad affrontare, analizzare e cercare di risolvere dei problemi. Bambini, anziani, l’ambiente…

Operosità dietro le quinte

Clinton non illustrava una parabola glamour, ma di vittorie piccole e significative ottenute grazie a una vocazione per il servizio civile che si traduce in un’operosità costante, spesso articolata dietro alla quinte. A New York l’abbiamo sperimentata quando Hillary era senatore. «È tutt’oggi il miglior agente di cambiamento che abbia mai conosciuto. La puoi paracadutare al centro di qualsiasi crisi, torni un mese dopo e le cose sono migliorate. Perché Hillary è così», ha detto suo marito.

Se Bill Clinton e Barack Obama sono due star naturali della politica, lei è una creatura da backstage. Non tanto per gusto dell’intrigo politico (come vorrebbero i repubblicani), ma perché il backstage é il luogo in cui il lavoro si fa veramente (Hillary è metodista), e per la sua ossessiva riservatezza. Da venticinque anni una delle donne politiche più famose del mondo – vivisezionata in ogni parola, acconciatura, smorfia, o gesto; accusata di alto tradimento, corruzione e persino di omicidio – in realtà Hillary Clinton rimane in un certo senso un mistero. E un mistero – si capiva benissimo martedì sera – da cui suo marito è affascinato ancora oggi. «Spero che la eleggerete», ha detto Bill.

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