Le gite di Giorgia Meloni e Claudio Descalzi in Algeria e in Libia, lo scorso fine settimana, dovrebbero spaventare gli italiani: l’annuncio di accordi intorno a nuovi giacimenti di gas da sfruttare non è esaltante, perché l’uso del metano (un combustibile fossile) per la produzione di energia elettrica rappresenta un grande problema in termini di salute, che mina la qualità della vita nel nostro Paese.

LO SPIEGA IL RAPPORTO internazionale False fix: the hidden health impacts of Europe’s fossil gas dependency (Una falsa soluzione: gli effetti nascosti sulla salute della dipendenza dai gas fossili in Europa), lanciato proprio la settimana scorsa da Isde, l’Associazione dei medici per l’ambiente, e ReCommon insieme a Heal, Health and Environment Alliance, la principale organizzazione europea senza scopo di lucro che si occupa di come l’ambiente naturale e quello costruito influiscono sulla salute nell’Unione europea.

IL DOCUMENTO PER LA PRIMA VOLTA ANALIZZA gli effetti sulla salute della combustione di gas fossili, evidenziando come il rischio sanitario sia molto alto, così come accade per tutti gli altri combustibili fossili. L’Italia risulta in cima alla lista per quanto riguarda gli impatti sulla salute delle centrali a gas, che oggi coprono la metà del fabbisogno elettrico del Paese. Alla fine del 2021, risultavano proposti 48 nuovi gruppi di generazione elettrica a gas, pari a 18,5 GW di potenza, che si aggiungerebbero ai 41 GW esistenti. Nella lista degli inquinatori che bruciano gas fossile al primo posto in Italia c’è Enipower, società del gruppo Eni, controllato per il 30 per cento dallo Stato. Le centrali di Enipower emettono il 20 per cento delle emissioni di ossidi di azoto di tutto il parco elettrico a gas italiano.

PER CITARE UN ALTRO DATO RILEVANTE PRESENTE nel rapporto, va rimarcato che nel solo 2019, la combustione di gas fossili per la generazione di energia o calore ha causato nei 27 Paesi dell’Ue e nel Regno Unito oltre 2.800 decessi prematuri da inquinamento dell’aria (PM2.5, NO2 e ozono). Le Ong sono molto preoccupate dalle mosse della Commissione europea, che – nell’ambito della nuova «tassonomia verde» europea, cioè la classificazione delle attività economiche che possono essere definite ecosostenibili – ha incluso nuove infrastrutture per l’espansione del mercato del gas fossile nel pacchetto REPowerEU, al fine di affrontare la crisi energetica in atto. «Sebbene la generazione di energia dal carbone sia la forma maggiormente inquinante di produzione energetica, la combustione di gas fossili non è priva di capacità inquinante. Gli effetti sulla salute e i costi derivanti dalla combustione di gas fossili sono stati enormemente sottostimati nei dibattiti pubblici e politici, ma non possono più essere ignorati. Continuare a dipendere dai gas fossili è nocivo, soprattutto perché le centrali elettriche si trovano in aree densamente popolate, nelle quali una moltitudine di persone viene minacciata dagli effetti dell’inquinamento dell’aria» ha spiegato Vlatka Matkovic, Senior Health and Energy Officer di HEAL.

EPPURE, DOVREBBE SPAVENTARE CAPIRE che la dipendenza dell’Ue e del Regno Unito dall’energia generata da gas fossili ha prodotto nel solo 2019 costi sanitari pari a circa 8,7 miliardi di euro, con impatto maggiore a carico di Italia, Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Spagna. Questi costi sono dovuti a conseguenze dirette sulla salute dell’inquinamento dell’aria originato dalla combustione dei gas, che ha provocato oltre ai 2.800 decessi prematuri anche 15 mila casi di problemi respiratori in adulti e bambini, più di 4.100 ricoveri ospedalieri e più di 5 milioni di giorni di lavoro persi per malattia.

«CIRCA 20 ANNI FA L’ITALIA HA INVESTITO massivamente nella produzione di energia da gas fossile – ricorda il dottor Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato scientifico Isde – e il risultato è che questo Paese deve oggi subire, tra gli Stati europei, i più pesanti costi sanitari generati da questa scelta, che già allora appariva insostenibile. Bruciare gas fossili non è, ora come allora, un’opzione sostenibile: alimenta la crisi climatica e genera enormi conseguenze sanitarie che sarebbero facilmente evitabili. Per questi motivi non può essere considerata una strategia di transizione. Una concreta decarbonizzazione che protegga i cittadini dall’inquinamento atmosferico e rallenti i cambiamenti del clima potrà essere ottenuta solo bandendo completamente qualunque fonte fossile, compreso il gas».

ISDE, RE-COMMON e HEAL PER QUESTO CHIEDONO con urgenza l’adozione di un calendario ambizioso per il completo abbandono di tutti i combustibili fossili, compresi i gas fossili, evitando di affidarsi a false soluzioni che rallenterebbero questo percorso e provocherebbero ulteriori danni. Il protrarsi della dipendenza dai gas fossili, quella che sembrano suggerire anche i recenti accordi italiani in Libia e Algeria, oltre all’investimento da 2,4 miliardi di euro prospettato da Snam per la costruzione del nuovo gasdotto «Linea Adriatica» compromette l’impegno dell’Ue per il raggiungimento dell’obiettivo inquinamento zero, come previsto dal Green Deal, e accelera il cambiamento climatico anche laddove esistono delle alternative.

SECONDO ANTONIO TRICARICO, campaigner e ricercatore di ReCommon, «il gas non è un combustibile di transizione, come sostiene l’industria fossile, ma un combustibile che fa ammalare e uccide. È inaccettabile che lo Stato italiano sia il principale azionista dell’azienda che inquina di più con le sue centrali a gas, il tutto a discapito della popolazione italiana. Lo Stato prima incassa il 30 per cento dei profitti di Eni e poi si sobbarca il 100 per cento degli impatti sanitari delle centrali del cane a sei zampe. La revisione del Piano Nazionale per l’Energia e il Clima prevista quest’anno dovrebbe mirare ad adottare l’obiettivo di un sistema elettrico libero da fonti fossili entro il 2035 e sollecitare un’ordinata eliminazione del gas entro tale data».