Spostare la nave gasiera Golar Tundra da Piombino a Vado Ligure, in provincia di Savona, nel 2026? Una pessima idea, almeno a sentire come la pensano i diretti interessati. Ovvero gli abitanti di un’area già pesantemente impattata dallo sviluppo industriale e dai suoi effetti più nefasti. Specificamente la centrale a carbone della Tirreno Power, che per decenni ha minato la salute delle persone e l’ambiente, sebbene il processo svoltosi al Tribunale di Savona abbia negato l’esistenza del reato di disastro ambientale per le attività dell’impianto.

Da quando, come già segnalato da queste colonne lo scorso luglio, l’idea del trasferimento ha preso corpo, non si sono placate le polemiche e le proteste. Una catena umana di 16 mila persone, manifestazioni davanti alla sede della regione Liguria a Genova. La politica locale sembra aver recepito il messaggio, tanto che lo scorso 14 settembre il Consiglio comunale di Savona – città interessata dal progetto ma esclusa dalla conferenza dei servizi – ha approvato all’unanimità una mozione contraria allo spostamento della FSRU, che invita il sindaco e la sua giunta a «intraprendere ogni tipo di iniziativa di tutela legale qualora si rendesse necessaria e a valutare ogni tipo di impatto dell’opera, comprese le ricadute su aria, suolo e mare». Mozioni simili sono state approvate nei quattro comuni dell’area del Golfo di Savona, Noli, Spotorno, Bergeggi e Vezzi Portio. Come già successo a Piombino, dove l’amministrazione di centro-destra si è di fatto opposta alla decisione del governo, anche nel savonese si sta assistendo a un corto-circuito all’interno dei partiti attualmente alla guida del Paese.

LO SCORSO SETTEMBRE, RECOMMON insieme a quasi 50 altre realtà locali ha presentato le sue osservazioni sul progetto al commissario straordinario per il rigassificatore Giovanni Toti, come noto anche governatore in carica della Liguria. Un passaggio preliminare, in attesa di ripresentare le stesse osservazioni a breve in sede di Valutazione d’impatto ambientale nazionale. Nel documento viene evidenziato come manchi una piena considerazione degli impatti cumulativi legati alla presenza del comparto industriale, che già da decenni insiste nell’area, come invece impone la normativa vigente. Vengono infatti analizzati solo gli impatti delle opere in fase di realizzazione nei prossimi anni, ovvero il Raccordo autostradale e nuovo svincolo a Vado Ligure per viabilità portuale, un impianto eolico, una stazione elettrica e una stazione di trasformazione utente, l’ampliamento della discarica La Filippa e il posizionamento dei cassoni per la nuova diga foranea di Genova nel porto di Vado Ligure, solo quest’ultimo viene considerato come un elemento che, insieme al rigassificatore, porterà conseguenze negative. Tuttavia nell’area ci sono anche fattori che la valutazione di impatto ambientale non tiene nemmeno in considerazione, come depositi di petrolio e di gas naturale e la stessa ex centrale a carbone, ora parzialmente riconvertita a gas con una unità da 800 MW.

INOLTRE LO STUDIO AMBIENTALE presenta delle lacune importanti sulle possibili ricadute negative sull’habitat naturale e le specie protette. Vengono, infatti, sì rilevate le aree interessate, come la Pelagos, il famoso Santuario dei mammiferi marini del Mediterraneo, limitandosi però a elencare le specie presenti nel Santuario stesso e gli avvistamenti effettuati nello specchio marino tra Savona e Vado Ligure. Dell’adeguata valutazione degli impatti non ci sarebbe alcuna traccia.

OLTRE QUESTA LUNGA SERIE DI ELEMENTI controversi in merito alla valutazione di fattibilità del progetto, è lecito porsi anche una domanda più sistemica: tutto questo gas serve davvero, oppure, anche con la scusa dell’emergenza dettata dalla guerra in Ucraina, si vuole piuttosto perpetuare un modello fossile che, nel caso dei rigassificatori, va a beneficiare Snam? Ovvero un’azienda partecipata al 30 per cento dallo Stato e che è proprie taria di quasi 40mila chilometri di gasdotti e tre dei quattro punti d’ingresso italiani di gas liquido. L’obiettivo dichiarato di Snam è arrivare al 2026 con il 40 per cento del gas consumato in Italia derivante da Gnl. Ma a quale prezzo?
Il gas naturale liquefatto arriva via nave da paesi segnati da conflitti e sistematiche violazioni dei diritti umani, come Egitto, Israele, Qatar e Nigeria, o dove gli impatti socio-economici e ambientali dell’estrazione e del trasporto del combustibile fossile sono molto gravi, come nel caso degli Stati Uniti.

PROPRIO DAGLI STATI UNITI, nel 2022 l’Italia è risultata il 6° importatore globale di Gnl statunitense, 14esimo nel periodo 2016-2022. Si può stimare che l’80 per cento di questo gas sia di scisto, prodotto attraverso l’utilizzo di pratiche molto invasive come il fracking o la trivellazione orizzontale. Negli ultimi sei anni, le navi gasiere arrivate in Italia dagli Usa sono 99, di cui 38 nel solo 2022.

MA IL GNL CONTINUA AD ARRIVARE anche dalla Russia. Alcune zone grigie nelle sanzioni imposte a Mosca dall’Unione europea hanno permesso al gas russo di inondare il mercato europeo, compreso quello italiano. Nel 2022, le esportazioni di Gnl di Mosca sono cresciute del 10 per cento, e circa il 43 per cento del totale ha avuto l’Unione europea come destinatario finale.

AL CONTRARIO, LA NARRATIVA DELLA SICUREZZA energetica giustifica l’espansione dei due terminali di Snam che ricevono il gas spagnolo: Panigaglia e Livorno. Parte di questo gas è in realtà russo. In attesa di capire come si concluderà la vicenda della valutazione di impatto ambientale del trasferimento del rigassificatore da Piombino a Vado, appare evidente che il business del Gnl rimane alto nella lista delle priorità per istituzioni e imprese italiane. Per buona pace della transizione verso fonti energetiche non fossili.