«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». È in queste parole, presenti all’articolo 27 della nostra Costituzione, la missione del nostro sistema penitenziario. Alcuni numeri ci dicono in modo impietoso che questa missione stenta a essere assolta: il 62% dei detenuti ha più di una carcerazione sulle spalle, ossia è tecnicamente un recidivo. Il 18% dei detenuti ha addirittura più di cinque esperienze di galera. Ciò significa che chi ha vissuto in carcere non ha avuto serie possibilità di aderire a percorsi sociali e culturali di emancipazione dalla criminalità.
Il carcere è una pena fortemente selettiva sulla base delle condizioni economiche di provenienza, dello stato di salute psichica, della nazionalità, della situazione di esclusione sociale pregressa. Il carcere tende a far crescere quelle disuguaglianze sociali presenti al momento del primo ingresso e non offre una progettualità legale di vita che sia percepita come una vera alternativa alla dimensione criminale. Questo accade anche perché troppi sono i detenuti e troppo pochi gli operatori penitenziari i quali non riescono a trasformare i numeri in persone.
Da anni diminuiscono gli indici di delittuosità in Italia, ma aumenta la popolazione reclusa anche a causa di una maggiore severità del sistema della giustizia penale. I detenuti restano anonimi e nessuno intercetta la loro disperazione. Anche così si spiegano i 21 suicidi dall’inizio dell’anno. Ognuno dei detenuti che si è ammazzato la ha fatto perché era disperato, tragicamente solo. In ogni caso di suicidio anziché andare alla ricerca di capri espiatori bisognerebbe guardare alle responsabilità di sistema.
Un sistema che va riformato anche in nome della sicurezza collettiva che si costruisce abbattendo i tassi di recidiva. La vita dentro le galere, così come raccontata da Antigone, va cambiata, modernizzata, umanizzata. Va riempita di attività dotate di senso, di scuola, di lavoro, di teatro, di relazioni affettive. Solo quando la pena sarà una pena utile e ragionevole, allora vedremo gli effetti positivi sulla reintegrazione sociale delle persone che sono entrate in galera almeno una volta.
Per contrastare la recidiva bisogna usare il tempo del carcere per offrire ai detenuti occasioni formative, educative, culturali, sociali e sanitarie che rompano con l’idea di prigione quale muro segregativo.
Speriamo che il nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria, il giudice Carlo Renoldi, con la sua storia e i suoi ideali, sia messo nelle condizioni per far sì che si riduca il gap tra pena costituzionale e pena nella realtà di tutti i giorni. Noi daremo il nostro contributo in termini di proposte affinché questo obiettivo si realizzi.
Sono trascorsi pochi giorni dal 25 aprile. La liberazione dal nazi-fascismo è stata conquistata da grandi donne e grandi uomini che hanno vissuto l’esperienza della galera a causa delle loro opinioni. Ci hanno lasciato la Costituzione in eredità. Insieme, tutti, trasformiamola da pezzo di carta in materia viva.