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Il futuro di Genova, intervista a Mark Covell

Il futuro di Genova, intervista a Mark CovellMark Covell – Simona Granati

L'intervista La recente condanna di 16 poliziotti per il massacro di Mark Covell al G8 del 2001 riapre antiche ferite e illumina di una luce nera polizia e Viminale. L’Italia saprà voltare pagina senza dimenticare?

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 novembre 2015

Il giornalista inglese Mark Covell suo malgrado è uno dei simboli del G8 genovese del 2001. Fu ridotto in fin di vita nei pressi della scuola Diaz, pestato a morte dalla polizia.

In settimana la corte dei conti della Liguria ha condannato 16 poliziotti un risarcimento di oltre 100mila euro.

Quali sono le sue reazioni alla notizia?

Sono soddisfatto che il ruolo di Canterini e Fournier nel mio tentato omicidio sia stato riconosciuto da un tribunale civile (ma non da uno penale), meno soddisfatto invece che gli altri quattordici poliziotti coinvolti siano stati multati solo di 10.000 euro per calunnia e arresto illegale. Alcuni dei nomi elencati erano direttamente coinvolti nel tentativo di uccidermi alla Diaz, e colpevoli di «codice blu». Canterini era lì fuori della scuola (troppo pavido per guidare i suoi uomini) e non cercò di intervenire per salvarmi la vita. Anzi, ordinò a Fournier di guidare la prima squadra del VII nucleo per la strada che conduceva a entrambe le scuole. Fournier è colpevole di essere direttamente coinvolto nella mia aggressione e lo sa. Per questo tardò a salire al primo piano e per questo non poté «fermare» la «macelleria messicana» dentro la scuola. Così come non sono contento che a quasi quindici anni da quella notte non siano stati decisi o pagati risarcimenti per le violazioni dei di diritti umani a Genova nel 2001. Spero inoltre che un giorno i nomi di Canterini, Fournier e altri finiscano per tentato omicidio in questa lista. Quanto agli altri 14 nomi condannati a risarcimento per calunnia, alcuni di loro dovrebbero essere processati per essere direttamente coinvolti nel mio tentato omicidio. L’ordine di risarcimento di 10.000 euro è poca cosa rispetto al male inflitto. Se fossero riusciti nelle loro false accuse e nella manipolazione delle prove adesso starei scontando 15 anni nel carcere di Pavia: un errore giudiziario ancora peggiore.

diaz film vicari
Una scena del film Diaz – Don’t Clean Up This Blood di Daniele Vicari (2012)

Sei in contatto con il pubblico ministero Zucca? Che cosa ti ha detto?

Non gli ho ancora parlato ma sono sicuro che sia contento della notizia. Colgo l’occasione per esprimere un sincero grazie a lui, ai miei avvocati, al team di supporto legale, ai nostri sostenitori e a tutti quelli sono coinvolti nella storia di questo caso. Per Zucca, far pagare a gente come Canterini e Fournier i propri crimini è una piccola vittoria.

Ti definivano ironicamente «lo spirito»: di 340 poliziotti nessuno ti vide di fronte alla scuola. Ti senti meno incorporeo adesso?

Nelle indagini sulla Diaz, il mio caso era soprannominato «dello spirito» perché, nella copertura del mio tentato omicidio, tutti i riferimenti e le dichiarazioni scritte quella notte furono modificate o scomparirono agli ordini dei comandanti del raid alla Diaz. Benché ci fossero 27 altri testimoni e vari video collegati al mio sadico tentato omicidio, solo due carabinieri, i tenenti Cremonini e Del Gais, dichiararono di avermi visto al cancello. È sconcertante che più di trecento poliziotti che mi passarono davanti mentre facevano irruzione nella Diaz abbiano finto di non avermi visto. A oggi, nessun poliziotto si è mai fatto avanti per fornire dettagli e prove sul mio caso. Questo silenzio ne fa uno dei tentati omicidi più controversi dell’Italia recente. A tutto questo si aggiunge l’aver poi fatto ricorso a calunnie e falsificazione delle prove per farmi dare 15 anni di carcere, un errore giudiziario ai miei danni ancora peggiore. Se a Zucca sta molto a cuore il mio caso è perché i poliziotti imputati hanno con tanto zelo prima cercato di uccidermi e poi di far sparire le prove, e deve essergli pesato non riuscire a incriminarli. Se lo fossero stati, la gente si renderebbe conto che non volevano solamente torturarci ma che erano entrati alla Diaz con l’intenzione di uccidere.

Hai parlato della presenza di un furgone dei carabinieri alla scuola e che il loro comandante, il tenente Cremonini, fosse l’unico ad aver trasgredito il cosiddetto «codice blu». Hai qualcosa da dirgli?

Voglio ringraziarlo per non aver rispettato il «codice blu» e per aver testimoniato sul mio caso. Può andare a testa alta nella migliore tradizione dei Carabinieri per la sua umanità, per aver cercato di prestarmi soccorso mentre ero in coma e moribondo sul marciapiede davanti alla scuola. Sono sicuro che sappia di più su quanto mi è accaduto ma comprendo che tema di dire altro che possa attrarre sulla polizia di stato altre accuse criminose. Gli dico: «Spero di poterti incontrare per ringraziarti della tua testimonianza, perché hai di certo rischiato la tua vita nel farlo».

Hai ripetutamente affermato che c’erano due carabinieri, uno dei quali intervenne durante la seconda aggressione che hai subito ad opera dei poliziotti, benché siano scomparsi poco prima che si scatenasse la terza. Si chiama Del Gais: è lui l’uomo che ti ha salvato la vita?

In tutte le mie dichiarazioni ho parlato di un carabiniere che cercò di salvarmi la vita durante la seconda aggressione, quella in cui mi spezzarono una mano, le costole e mi danneggiarono la colonna vertebrale. Mentre svariati comandanti e uomini del VII nucleo mi pestavano, questo carabiniere non identificato gridò «Basta! Basta!», frenò la polizia dall’uccidermi e mi trascinò ai cancelli della Diaz Pertini dall’altra parte della strada. Per una ragione ignota, non poté restare a proteggermi dal terzo pestaggio, che mi costò quasi tutti i denti e mi spedì in coma. Per anni, in seguito, mi fu ripetuto dagli inquirenti che nessun carabiniere faceva parte del raid iniziale e che dovevo aver confuso le divise: ma nella primavera del 2010 emersero le prove che pochi carabinieri avevano, in effetti, fatto parte di un’avanguardia (davanti al resto dell’unità di Cremonini) per dare man forte nell’abbattimento della porta secondaria della Diaz Pascoli nei primi istanti del raid. Divenne poi chiaro che il tenente Del Gais era con Cremonini, e che entrambi erano lì all’inizio dell’irruzione. Del Gais, del X Battaglione Campania dei carabinieri, è l’uomo a cui vorrei parlare. Penso sia lui che ha cercato di salvarmi la vita alla Diaz ma non è stato mai interrogato e non so per certo sia lui. Se lo è, si tratta di un vero eroe, e i Carabinieri dovrebbero decorarlo. Chiunque abbia cercato di salvarmi la vita ha rischiato la propria e il suo lavoro per farlo. Comprendo senz’altro che farsi avanti comporterebbe anche il fare dei nomi. Oppure, ora che il processo principale è concluso, avrà il coraggio di dire tutto quello che sa? Sei davvero quello che mi ha salvato? Di questi due uomini, i vertici dei carabinieri dovrebbero riconoscere che sono dei bravi militari che hanno cercato di proteggere vittime innocenti dalla furia criminale di poliziotti durante l’irruzione alla Diaz e che hanno fronteggiato assai bene una situazione straordinaria che andava ben al di là dei loro compiti.

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Fuori dalla scuola Diaz quella notte di luglio del 2001 – Foto Reuters

Hai invocato per l’Italia una commissione indipendente di controllo dell’operato della polizia analoga alla britannica IPCC («Independent Police Complaints Commission»). Pensi ci si stia lentamente avvicinando a una cosa simile?

Una Ipcc italiana sarebbe una buona idea, e andrebbe presa in considerazione dal parlamento. Durante tutte le traversie nelle indagini del pubblico ministero, la polizia e il ministero dell’Interno hanno ostacolato, bloccato e occultato le prove per proteggere ufficiali e semplici poliziotti che erano alla Diaz. Mentre sono certo che il RIS dei Carabinieri è una buona agenzia investigativa interna, è stata resa impotente dal numero e dalle caratteristiche dei comandanti coinvolti nel raid. Inoltre, non aveva le risorse o gli uomini per gestire un’indagine così ampia. Al processo avremmo perso se ci fossimo basati solo sul RIS e sulle poche prove da loro raccolte. Data la situazione, ho creato il «Diaz Supervideo», il più grande montaggio di prove in video, per superare questa mancanza e vincere il caso. Se da una parte non mi pesa aver fatto questo lavoro, dall’altra non bisognerebbe lasciare a una persona gravemente ferita l’investigazione del crimine di cui è stata vittima com’è successo a me. Per questo un’istituzione come la Ipcc è così necessaria. Spero che il governo italiano, preoccupato per l’immagine della polizia dopo le conclusioni alla Diaz, voglia considerare una commissione di inchiesta italiana per restituire fiducia all’opinione pubblica, cosicché le denunce di violazioni di diritti umani e di omicidio contro la polizia possano essere indagate propriamente e in modo indipendente.

Questa sentenza ti dà speranze sulla giustizia italiana?

È passato molto tempo e sono soddisfatto che il tribunale abbia riconosciuto il ruolo di Canterini e Fournier nel mio tentato omicidio. Spero compiano il passo successivo e spingano il governo italiano a saldare tutti gli altri casi di risarcimento ancora aperti. Si tratta di milioni di euro per più di duecento vittime del G8. Inoltre, il mio caso, in cui sono alcuni poliziotti a pagare un risarcimento, è solo l’inizio. Sono loro che dovrebbero coprire tutte le spese dei risarcimenti alle vittime, non i contribuenti.

Quali sono i tuoi sentimenti nei confronti di Genova e dell’Italia?

Amo Genova e la sua gente. Mi fanno sempre sentire benvenuto come cittadino onorario (cittadinanza insignitami dal sindaco di Genova) e la considero una mia seconda casa. L’Italia mi sta molto a cuore per via del mio intenso coinvolgimento in queste vicende. L’Italia ha dei problemi seri, uno dei quali è la crescita del fascismo del XXI secolo. Benché sia per me il momento di voltare pagina e di cercare di cominciare una nuova vita dopo la Diaz, sarò sempre dalla parte di chi vuole combatterlo.

Una versione ridotta di questa intervista è stata pubblicata sull’ultima pagina del manifesto del 20 novembre 2015

–> Read the English version of this interview at il manifesto global

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La scuola Diaz di Genova

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