Visioni

Il fondamentalismo religioso nel «legame» fra Usa e Israele

Il fondamentalismo religioso nel «legame» fra Usa e IsraeleUn'immagine di «’Til Kingdom Come» – Abraham Troen

Intervista Maya Zinshtein racconta «’Til Kingdom Come», il suo film in programma all’Idfa di Amsterdam. Il ruolo dei cristiani evangelici nelle politiche di Trump e di Netanyahu

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 20 novembre 2020

Davanti a una piccola chiesa di Middlesboro, in Kentucky, sventola la bandiera israeliana, mentre al suo interno una grande stella di David si staglia sul crocifisso. A guidare la congregazione è il pastore Boyd Bingham, un cristiano evangelico che ha fatto della sua chiesa – in una delle regioni più povere del Paese – uno dei principali donatori alla Fellowship of Christians and Jews. Un’unione «opportunistica» di evangelici e israeliani, con un’agenda politica mossa dal fanatismo religioso, indagata da Maya Zinshtein nel suo ’Til Kingdom Come, in programma in questi giorni all’International Documentary Filmfestival di Amsterdam.

Sul versante israeliano il film segue Yael Eckstein, la vicepresidente e figlia del fondatore della Fellowship che ogni anno raccoglie milioni di dollari da donatori evangelici statunitensi, di cui Trump si è circondato nella sua amministrazione – dal Segretario di Stato Pompeo al vicepresidente Pence – e che costituiscono il 25% dell’elettorato americano. «Ci sono tre cose che abbiamo chiesto a Trump. Lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, una stretta sulle leggi sull’aborto e la Corte suprema» dice un membro dell’advisory board cristiano evangelica della presidenza. Tutte richieste che verranno esaudite puntualmente – fino all’elezione della giudice cattolica popolare fra gli evangelici Amy Coney Barrett.

Maya Zinshtein. Foto di Tomer Appelbaum

E anche eccedute con l’«accordo di pace» siglato da Trump e Netanyahu, ben lieto – come osserva Zinshtein – «di rimpiazzare il sostegno a Israele degli ebrei americani con quello dei cristiani evangelici». E poco importa, in questo scambio molto politico, se gli evangelici «amano» Israele solo nella misura in cui riconoscono nella sua conquista integrale della Terra Santa l’avverarsi della profezia che porta al giorno del giudizio – in cui l’inferno attende tutti gli ebrei non convertiti all’«unica» religione.

Come ha scelto di seguire il pastore Bingham e Yael Eckstein?
In Israele c’è una conoscenza molto superficiale dei cristiani evangelici e delle loro attività. Quando si è insediata l’amministrazione Trump ho cominciato a documentarmi su di loro a causa del grandissimo contributo che avevano dato alla sua elezione, e per il coinvolgimento che hanno nel nostro Paese. Ma non volevo fare un film su di loro, quanto sul legame che hanno con Israele, e la cosa più naturale da fare è stata rivolgermi alla Fellowship of Christians and Jews che è la più grande organizzazione rivolta a questa «unione». È importante capire come lavorano: comprano mezzi di informazione in tutti gli Stati uniti, ci spendono milioni, li si vede spesso in tv. La maggior parte delle donazioni sono individuali, ma ho scoperto l’esistenza di una chiesa che attraverso i contributi di tutta la congregazione era fra i principali finanziatori dell’associazione. Li ho conosciuti durante il loro viaggio annuale in Israele, e pochi mesi dopo sono approdata in Kentucky: volevo raccontare la storia di queste persone, che nella loro vita hanno a malapena conosciuto un solo ebreo, e che donano a noi i loro pochi risparmi. Mi sono interrogata su questo amore incondizionato che proclamano per il popolo ebraico. A cosa è dovuto? Da ebrea, penso che se qualcuno ti ama per il semplice fatto di essere ebreo ci sarà sempre qualcuno pronto a odiarti per lo stesso motivo. Sono due facce della stessa medaglia.

Dal film emerge infatti che degli antisemiti, convinti della punizione del popolo ebraico nel giorno del giudizio, vengono trattati come i migliori amici di Israele dallo stesso governo israeliano.
Non credo che tutti loro siano antisemiti, è una situazione molto complessa. Ma non si può ignorare il fatto che il nostro primo ministro sia molto più vicino ai cristiani evangelici che agli ebrei americani, che per la maggior parte sono democratici e a favore dei due Stati. Proprio oggi il Segretario di stato uscente Mike Pompeo era in visita in una colonia israeliana e ha detto che per la legge Usa i prodotti delle colonie sono considerati «made in Israel»: una svolta gravissima nella politica americana. Netanyahu ha scelto di coltivare questi rapporti, e crea un enorme problema per il Paese stesso sostenendo apertamente una fazione politica. Da persona laica non mi interessa tanto la profezia sul giorno del giudizio, ciò che mi preoccupa è che il governo sostenga persone per cui la violenza in questo Paese è un segno divino.

Nel film un manifestante a favore dell’annessione della Cisgiordania chiama lo stato palestinese «terrorista», mentre lo strapotere dei cristiani evangelici dimostra come una visione religiosa fondamentalista si sia insinuata proprio nelle istituzioni democratiche di Israele e Stati uniti.
Oltre il legame fra evangelici ed ebrei questo film riguarda proprio il ruolo della religione nel 21esimo secolo. Ci sono due leader «secolari»: Trump e Netanyahu – e dietro di loro c’è un potere religioso, fondamentalista, che li spinge verso politiche mutuate dalle sacre scritture. Viviamo in un mondo laico, ma se si guarda oltre la superficie è spaventoso il ruolo della religione nella politica. Gli Stati Uniti hanno spostato l’ambasciata, tagliato gli aiuti ai palestinesi, fatto l’«accordo del secolo». E in questo una grande influenza la hanno avuta delle persone mosse da motivi religiosi, per le quali il popolo ebraico deve avere tutte le terre promesse ad Abramo da Dio. Quando siamo entrati alla Casa Bianca per la conferenza di Trump e Netanyahu sull’«accordo di pace» c’erano ovunque pastori, religiosi, proprio le persone che avevo incontrato durante la lavorazione del film.

Cosa pensa che cambierà con l’elezione di Biden?
Sicuramente gli evangelici avranno molto meno potere, ma non penso che spariranno: l’oceano rosso repubblicano sulla mappa degli Stati uniti è sempre lì. La presidente della Fondazione per la pace nel Medio Oriente Lara Friedman mi ha detto una cosa che trovo molto giusta: il nostro più grande sbaglio quando abbiamo vinto Roe v. Wade (la sentenza della Corte suprema Usa che ha sancito la libertà di scelta in merito all’aborto, ndr) è stato non pensare alle persone che avevano perso. E che avrebbero continuato a combattere strenuamente per ribaltarla – una cosa a cui adesso ci troviamo molto vicini. Questi «poteri» non scompariranno insieme a Trump. C’è stato un momento, con la sua elezione, in cui tutto il loro lavoro è venuto alla superficie. Ed è evidente che torneranno. Per questo è importante conoscerli.

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