L’obiettivo del gotha di Fratelli d’Italia era già chiaro a dicembre, prima della doppia esternazione della premier Meloni e del presidente del Senato la Russa sulle fosse Ardeatine e sull’attentato di via Rasella. «A quasi 77 anni dalla fine della guerra siamo ancora in qualche modo in un interminabile dopoguerra», spiegava La Russa parlando coi cronisti per gli auguri di fine anno. «Vorrei che, al termine del mio mandato, avessimo fatto un piccolo passo in avanti sulla pacificazione e nessuno mi venga a dire che non ce n’è bisogno».

Un vero e proprio manifesto programmatico revisionista della destra di governo. Che punta senza troppi imbarazzi a «pacificare» e dunque appaiare partigiani e repubblichini, cancellando il valore costituzionale fondante della Resistenza antifascista. E anche a riscrivere la storia degli anni di piombo con uno sguardo limitato alle vittime di destra.

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Di qui le parole di Meloni, una settimana fa, sui martiri delle Fosse ardeatine uccisi «in quanto italiani» e non antifascisti, di qui il downgrade del battaglione Bozen a «una banda musicale di semi-pensionati altoatesini e non nazisti delle Ss» compiuto ieri dalla seconda carica dello Stato.

Lo stesso La Russa che a ottobre aveva detto a La Stampa: «Una parte della Resistenza, quella comunista, non lottava per restituire all’Italia libertà e democrazia ma per un sistema certo non migliore di quanto era avvenuto col fascismo». Il progetto è chiarissimo: consegnare il comunismo italiano (e il suo contribuito alla Resistenza e alla Costituzione) alla storia del Novecento, al pari del fascismo, con un giudizio di sostanziale parità e una condanna dei «totalitarismi» come Meloni ha detto nel suo discorso di insediamento alle Camere.

Che era stato preceduto da un editoriale di Galli della Loggia sul Corriere in cui si invitava a considerare i «due passati», comunista e fascista, «apparentemente opposti», come un «tutto unico peculiarissimo della vicenda nazionale italiana». Un unicum cementato dalla «comune ostilità alla democrazia liberale».

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Ed è questo l’approccio con cui La Russa prepara la festa del 25 aprile, dicendo un falso storico, e cioè che i partigiani rossi «non volevano un’Italia libera e democratica perché avevano il mito della Russia comunista». Una bestialità che consente al presidente del Senato di affermare che non parteciperà alle celebrazioni della Liberazione «perché in quei cortei non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra».

L’obiettivo revisionista riguarda anche il Dopoguerra, in particolare gli anni Settanta, contesto storico in cui si sono formati tutti i vecchi big di Fratelli d’Italia. E qui si inserisce la proposta di una commissione parlamentare d’inchiesta sugli anni di piombo lanciata dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, tesa a fare luce sugli omicidi rimasti senza colpevoli di militanti della destra, a partire Acca Larentia.

Un progetto in piena sintonia con il pensiero di Meloni che nel suo primo discorso da premier ha citato l’«antifascismo» solo nella sua parte «militante, che uccideva ragazzi innocenti a colpi di chiave inglese». Senza dimenticare la condanna del fascismo che si ferma alla «soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei», dimenticando come il razzismo di Mussolini si fosse rivolto in prima istanza contro le popolazioni africane e slave.

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E le proposte di Fdi per equiparare storicamente la Shoah e le foibe. Il filo nero è sempre lo stesso: tentare di cambiare la storia per nascondere la peculiarità dei crimini del fascismo in tandem col nazismo in una sorta di notte buia dove tutte le vacche sono nere.

In questo contesto può pure capitare che La Russa, tra un’intervista e l’altra in cui racconta divertito che alla fine il busto di Mussolini ha dovuto cederlo alla sorella, possa spararla un po’ più grossa e mettere Meloni in imbarazzo davanti al capo dello Stato. Ma sono solo bagattelle. L’importante, per loro, è che alla fine del mandato lo spirito del tempo sia cambiato.

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