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Il falso mito del tocco magico del sistema elettorale maggioritario

Il falso mito del tocco magico del sistema elettorale maggioritarioIllustrazione di Ludovica Valori

Riforme La governabilità non è causa delle elezioni, ma il necessario, auspicato effetto. Che la sera dello scrutinio si debba sapere chi ha vinto succede alla Domenica Sportiva. Prodi e Veltroni, fan del maggioritario, dovrebbero ricordare quando partiti del 4% avevano come leader La Malfa, Pannella, Saragat, Malagodi, Foa, Valiani...

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 8 ottobre 2019

I fondatori del Pd sostengono il sistema maggioritario perché «le elezioni non sono fatte per fare la fotografia del Paese ma per assicurare la governabilità» (Prodi) e perché il proporzionale assicurerebbe la «pretesa di contare, a formazioni sotto il 4%» (Veltroni ).

Dispiace dover constatare che due aspiranti Presidenti della Repubblica, invece di stagliarsi rispetto al dibattito di piccolo cabotaggio teso ad assicurare una stabile occupazione delle istituzioni da parte di un ceto politico autoreferenziale, ne assecondino l’ingordigia senza accorgersi (se in buona fede) del vulnus al principio costituzionale di rappresentanza, oltre che al senso delle istituzioni, ed al buon senso politico.-

E’ dura contraddire chi ha fatto due volte il presidente del Consiglio, ma le elezioni sono fatte proprio per rappresentare la fotografia del Paese. In nessuna parte della Costituzione è scritto che esse debbano garantire la “governabilità” o che la sera dello scrutinio si debba sapere chi ha vinto e chi ha perso. Questo succede alla Domenica sportiva.

La governabilità non è la causa delle elezioni, ma il necessario, auspicato effetto, determinabile dalla convergenza delle forze politiche rappresentate in Parlamento sui programmi proposti agli elettori e sulle mediazioni imposte dalle alleanze atte a costituire le maggioranze utili per governare. Questa è la governabilità.

E infatti, la sera del 4 marzo 2018 tutti sapevamo chi aveva vinto, cioè il M5S, ma nessuno si è scandalizzato se l’incontro politico per la governabilità sia avvenuto dopo oltre un mese e sulla base di un compromesso addirittura definito “contratto” tra chi aveva “vinto” (appunto i 5 Stelle) ed un aspro avversario arrivato terzo (la Lega). Né ci si è posto il problema se dopo un anno e mezzo il governo (ed il contratto o la governabilità) sia saltato e sia stato ricostituito sulla base di un altro compromesso tra i due ex nemici 5 Stelle e Pd.

Dunque il maggioritario (cioè con un sistema che assegna alla formazione che non ha raggiunto la maggioranza ma è prima in classifica, un premio in seggi che, in barba alla volontà popolare, la fa diventare ancor più maggioranza), non è assicurata ipso facto la stabilità, a meno di un risultato elettorale con una maggioranza assoluta (…i “pieni poteri”).

La differenza tra i due sistemi (oggi con le nomine dei capipartito, ieri con il proporzionale e le preferenze degli elettori) è una sola: la qualità della classe dirigente. La storia di questo ultimo anno e mezzo e dell’annesso cambio al governo (ma possiamo dire la storia del Paese da quando c’è il maggioritario per nomina, sia esso Porcellum, Italicum o Rosatellum con i suoi ribaltoni, cambi di casacche, compravendita di parlamentari) lo dimostra.

La spiegazione è semplice: il sistema pensato dai costituenti, cioè il proporzionale puro con le preferenze, non fu scelto solo per impedire nuove temute derive autoritarie. La paura o meglio il rifiuto della tirannide era il presupposto. Ma il sistema recava in sé un fine tessuto di ingegneria costituzionale.-

Fotografava il sentire del popolo italiano, fino a quello dell’ultimo cittadino, con un voto “diretto, libero ed uguale” per cui la sera dello scrutinio si sapeva chi eravamo, cosa pensavamo, quali erano gli orientamenti condivisi ed in quale misura, appunto proporzionale, si traducevano in seggi parlamentari.

Così che i rappresentanti istituzionali sin da subito potevano/dovevano avviare i confronti per giungere alle alleanze, alle maggioranze necessarie. Un lavoro duro e affascinante che si chiama politica. Il quadro poteva mutare sulla base di questioni politiche non di migrazioni di senatori e deputati fondate su posizionamenti e convenienze personali. Essendo i parlamentari eletti con le preferenze, rispondevano del loro comportamento agli elettori che tali preferenze avevano espresso e non , come oggi avviene al capo del partito che li nomina o che gli promette la rinomina (l’esodo renziano di questi ultimi giorni è, in questo senso, significativo per tutti quelli che non vogliono bere la bubbola del “lo facciamo per i giovani”).

In questo sciagurato mo(n)do il Parlamento viene nominato dai cosiddetti leader, non viene assicurata alcuna governabilità politica, (ma solo quella delle convenienze del momento) le maggioranze sono drogate dai premi, la vera volontà popolare non conta niente, e le elezioni sono solo esercizi di posizionamento personale. Ciò è peraltro affermato dalle ripetute sentenze della Corte Costituzionale sui Parlamenti che ormai da un decennio sono eletti sulla base di leggi dichiarate incostituzionali. Verrebbe quasi voglia di ricordare all’on. Veltroni che i partitini del 4% hanno espresso gente come La Malfa, Pannella, Saragat, Vecchietti, Malagodi, Bozzi, Foa, Valiani e tanti altri che nelle istituzioni hanno dato senso ai voti ricevuti.

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