«Da quanto tempo è che lavori nell’edilizia?» Risposta: «Trent’anni, trent’anni. E da quando lavoro sull’edilizia non ho mai avuto diritto d’abbità dentro ‘na casa». Siamo a Roma, 1970. A porre la domanda è la voce fuori campo di Anna Lajolo, documentarista militante e regista di La casa è un diritto, non un privilegio. La replica, quasi una sentenza, è di una persona in lotta per il diritto all’abitare, uno dei tanti baraccati di Borghetto Latino e Prato Rotondo. Poche parole dipingono la stessa contraddizione che, più o meno in quegli anni, Amarcord (1973) di Federico Fellini affida alla poesia di Calcinàz: «Mio nonno fava i matoni, mio babbo fava i matoni, fazo i matoni ancha me, ma la casa mia, n’dov’è?».

La tragica domanda, oggi, sono costretti a porsela migliaia di persone senza fissa dimora – l’Istat, nel 2022, ne calcola ufficialmente circa centomila – e interi nuclei familiari senza tetto, ai quali si aggiunge quasi un milione di donne e uomini costretti ad alloggi precari, campi, baracche non diverse da quelle che popolavano il territorio dei margini d’Italia almeno fino agli anni Ottanta.

Il diritto all’abitare è ancora al centro del conflitto sociale e l’emergenza abitativa, da questione politica, si è trasformata in problema di ordine pubblico. L’ennesimo e fondamentale bisogno insoddisfatto che trova risposta nel codice penale invece che in pratiche politiche miranti a dar forza al diritto a un alloggio adeguato.

Nel frattempo, per una molteplicità di fattori – finanziarizzazione, fondi immobiliari, investimenti in attività turistiche, precarizzazione del lavoro, aumento dei prezzi e degli affitti – la casa vede cambiare la propria natura: da condizione fondamentale del vivente umano a merce, da bene d’uso da garantire a tutte e tutti a bene finanziario contendibile solo da chi possiede risorse più che adeguate.

Una situazione di patente violazione della Costituzione che sarà al centro di Parole di Giustizia (Urbino-Pesaro-Fano 20-22 ottobre 2023, programma su www.paroledigiustizia.it), iniziativa di dialogo con la cittadinanza sui temi dei diritti e della giustizia promossa dall’Associazione di studi giuridici Giuseppè Borrè e dall’Università di Urbino, in collaborazione con Magistratura democratica. Quest’anno ha un titolo inequivocabile: Casa dolce casa? Diritti per abitare il futuro.

Il tema della casa verrà indagato da diverse prospettive: interrogarsi sul diritto all’abitare significa anche pensare quali relazioni domestiche e quale ordine simbolico della famiglia intendiamo costruire, provare a riflettere sulle vicende drammatiche in cui la casa si trasforma da membrana protettiva delle libertà in trappola per le vittime di una cultura del patriarcato (la casa, al pari del territorio dello Stato, come zona di esercizio del potere del maschio sovrano) che non sarà la sola repressione giudiziaria a estirpare.

Declinare l’argomento in tutte le sue sfaccettature impone di confrontarsi con la tendenza sempre più persistente a negare autonomia abitativa e persino libertà personale alle diverse fragilità, dagli anziani nelle Rsa ai sofferenti mentali nelle comunità ad alta intensità. Impossibile non pensare agli spazi detentivi, che nel gergo giuridico prendono il nome di casa (circondariale, di reclusione), ma che nella realtà, in gran parte, puzzano sempre di più di carcere vecchio e spersonalizzante.

Centrale, poi, la vicenda degli stranieri: l’integrazione, come ci ha insegnato Riace, passa indiscutibilmente da un’accoglienza abitativa partecipata e non subita.
C’è poi una questione di assoluto rilievo, alla quale verrà dedicata l’introduzione del festival: le regole e l’organizzazione dello Stato in quanto casa comune. Il collegamento tra diritto alla casa e regole di organizzazione politica dello Stato non è metaforico. Solo partecipazione e rappresentanza possono dare linfa a politiche che mettano al centro nuove ipotesi di welfare abitativo.

Saranno tre giorni di discussione, animata da quel tarlo che, secondo Pino Borrè, doveva costringere il giurista fedele alla Costituzione a passare al setaccio le contraddizioni e le ingiustizie del diritto dei più forti.