Cultura

Il detenuto che si fa garante

Il detenuto che si fa garante

Scaffale «Ferro batte ferro» di Pino Roveredo, per Bottega Errante Edizioni. La storia di un ragazzo entrato in carcere minorenne e oggi «voce» di chi è privato della propria libertà

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 30 settembre 2017

A quasi 63 anni, in tutta Italia è l’unico ex detenuto a ricoprire il ruolo di «garante per le persone private della libertà personale». Contrariamente alle anime belle della pubblicistica più o meno accademica, a Pino Roveredo l’incarico della Regione Friuli restituisce giustizia e libertà. Lui ha quasi tatuata la data del 22 agosto 1972, quando ancora minorenne diventa «figlio del carcere». E da scrittore e operatore sociale (non solo nella sua Trieste) ha pubblicato un libro davvero speciale: Ferro batte ferro (Bottega Errante Edizioni, pp. 112, euro 13).

«IL CARCERE è un marchio che non puoi cancellare dalla pelle e dalla vita». È la verità imparata fin dall’impatto alla matricola d’ingresso, prima ancora di entrare in cella. «In carcere il momento peggiore è la notte. Quando spengono le luci si spegne tutto, voci, urla, lamenti. Si tacciono le serrature e lo sbattere dei cancelli, nell’aria si ode soltanto il rumore degli scarponi delle guardie vigilanti e ogni tanto, qua e là, colpi di tosse e qualche dialogo imposto dal delirio». La violenza spietata si stempera un po’ con i libri: il giallo cui hanno strappato le ultime pagine; l’erotismo mascherato dal frontespizio di Manzoni; Vasco Pratolini e soprattutto Se questo è un uomo, regalato ai tre figli nel 14/mo compleanno.

In carcere Pino letterata scriveva già: lettere a fidanzate, famiglie, avvocati. Poi ha perfezionato la sua originale prosa letteraria, vincendo il Campiello nel 2005. E gli affidano sempre corsi di scrittura, dopo il debutto al Centro di salute mentale che fu di Basaglia.

Ma lui non rinuncia a descrivere senza infingimenti: «La società ha bisogno di delinquenti su cui puntare il dito, per sentirsi migliore. Il Sert ha bisogno dei tossici per dare un motivo alla sua esistenza. Le rivendite alcoliche hanno bisogno degli alcolizzati per mantenersi in vita. I tabaccai e il monopolio di Stato hanno bisogno dei fumatori per riempirsi le tasche con la disgrazia altrui».

Pino Roveredo conosce di prima mano gli abissi in cui si può sprofondare: la detenzione e la contenzione, la condanna senza appello se l’esistenza combacia con il vizio, la legge del riscatto come uno specchio. Così confessa: «Ho iniziato a occuparmi degli altri, gli ultimi in classifica. Con grande egoismo, perché in verità ho cominciato a farlo per occuparmi di me stesso, mettendo così in pratica l’uso del Salvarsi salvando!».

IN CIASCUNA delle quattro parti del libro, il «garante» non libera la coscienza di chi obbedisce all’ordine della sicurezza. Anzi, il detenuto di 17 anni apre la cella del padre di famiglia: «Oggi lo posso dire, il ferro si può vincere e le sbarre si possono piegare, e oltre si può trovare il regalo della vita. Mi ricordo che da ragazzini, nei miei primi giri in tribunale, un’assistente sociale ipotizzò per me il ruolo futuro di persona irrecuperabile. Sono quarant’anni che, con tutti i muscoli che posso, riesco a smentirla ogni giorno, un giorno». È il finale perfetto di un bel libro che merita di essere infilato nello zainetto scolastico dei «coetanei» di Roveredo.

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