Il percorso tracciato da Netanyahu per recuperare i consensi popolari perduti il 7 ottobre, non può aggirare le crescenti difficoltà economiche di Israele frutto dell’offensiva militare contro Gaza. Non sono pochi a criticare la superficialità con cui il premier israeliano e soprattutto il suo ministro delle Finanze, l’ultranazionalista Bezalel Smotrich, hanno reagito alla decisione annunciata venerdì dall’agenzia internazionale di rating Moody’s di declassare l’affidabilità del sistema creditizio israeliano da A1 ad A2 e di indicare l’outlook di Israele tendente a «Negativo». È la prima volta che il rating creditizio di Israele viene tagliato.

Netanyahu ha liquidato la questione sostenendo che il declassamento del rating «non ha nulla a che fare con l’economia e deriva interamente dal fatto che siamo in guerra. Il rating aumenterà man mano che non appena vinceremo la guerra, e la vinceremo». Peggio ha fatto Bezalel Smotrich. Il ministro delle Finanze israeliano ha attaccato Moody’s affermando che la decisione dell’agenzia di rating «non contiene argomentazioni economiche serie» ma sarebbe solo «un manifesto politico basato su una visione pessimistica e insostenibile di Israele».

Parole che Vladimir Beliak, responsabile delle questioni economiche del partito di opposizione Yesh Atid, ha trovato «ridicole». Smotrich, ha detto Beliak, «è un illuso e spaventosamente cinico, è un politico che sta causando un danno enorme per i cittadini del paese, e ne è orgoglioso…Chiunque rimanga in silenzio è un partner a pieno titolo nella distruzione del valore dell’economia israeliana». Preoccupato anche Democratech, il movimento delle aziende tecnologiche sorto durante le proteste dello scorso anno contro la riforma giudiziaria. «Il declassamento del rating è un’espressione di completa mancanza di fiducia in coloro che sono alla guida di Israele e che è stata generata da una legge di bilancio irresponsabile. Occorre andare subito alle elezioni». Quando finirà la guerra tutto tornerà in ordine, ripete il governo. Nessuno ha però capito cosa intendano Netanyahu e i suoi ministri per fine del conflitto a Gaza, senza dimenticare che al confine tra Israele e Libano resta alto il rischio che possa accedersi un’altra guerra disastrosa tra il movimento sciita Hezbollah e lo Stato ebraico.

L’ex direttore del ministero delle Finanze, Yarom Ariav, in una intervista a un giornale economico locale, invita a guardare alle conseguenze immediate della decisione di Moody’s, a partire dall’aumento del costo del denaro. «Ciò andrà a scapito dei servizi che sono importanti per ogni cittadino» avverte Ariav, sottolineando che Moody’s segnala anche che il rischio di investimenti in Israele è aumentato. Il passo fatto da Moody’s, aggiunge, è «un certificato di inadeguatezza della leadership economica dello Stato di Israele», in particolare del ministro Smotrich che ha fatto approvare un deficit troppo alto: «L’aumento permanente del bilancio della Difesa danneggia la fiducia delle agenzie di rating».

Con una leadership economica che, secondo i critici, è incapace di comprendere cosa accade, c’è motivo di pensare che il rating verrà tagliato anche dalle altre agenzie, poiché l’offensiva a Gaza andrà avanti a lungo – d’altronde lo dice lo stesso Netanyahu – e alla quale potrebbe aggiungersi un attacco al Libano con conseguenze il bilancio dello Stato e la riduzione ulteriore del Pil. Il lavoro rischia di essere la vittima principale della guerra che Netanyahu vuole portare avanti «fino alla vittoria». Il turismo, settore trainante negli ultimi anni, è in ginocchio e non se la passa meglio l’edilizia che fa affidamento in larga misura sui manovali palestinesi della Cisgiordania che sono stati banditi da Israele dopo il 7 ottobre. Mancano 100.000 lavoratori e i propositi di «importazione» di manovali stranieri devono ancora concretizzarsi. Il 50% dei cantieri edili, perciò, sono chiusi e quelli attivi lavorano al 30%. Il settore, secondo quanto scrive il giornale economico Globes, rischia di perdere 2,4 miliardi di shekel (600 milioni di euro) a settimana. Ad imporre a Netanyahu lo stop alla guerra presto saranno le difficoltà economiche di Israele.