I gender studies e prima ancora gli studi sulla storia delle donne hanno, negli ultimi decenni, aggiunto molti elementi alle nostre conoscenze sulla vita del genere femminile nei secoli passati. Il Medioevo in questo non fa eccezione, e numerosi studi hanno ormai ribaltato i troppi luoghi comuni in materia, introducendo pienamente le donne all’interno del dibattito storiografico.
Certo, quando si passa dai grandi personaggi alle donne per così dire «qualsiasi», le possibilità ermeneutiche diventano immediatamente minori, ma questo è vero anche per l’altro sesso. In Anima e corpo. Donne e fedi nel mondo mediterraneo (secoli XI-XVI) (Carocci, pp. 302, euro 30), Isabella Gagliardi sceglie questa via difficile, declinandola in rapporto alla questione della fede, intesa come presenza delle donne nella vita religiosa, sia come soggetti che come oggetti.

IL LIBRO COPRE una cronologia ampia che ha una spiegazione chiara: l’XI secolo fu epoca di svolta per il mondo mediterraneo, registrando la separazione tra i cristiani di rito greco e quelli di rito latino formalizzato dallo scisma del 1054, il fenomeno crociato, l’espansione europea dopo secoli di «chiusura» almeno parziale, la crescita di un papato dominante, soprattutto l’incentivazione della circolazione culturale con le traduzioni dall’arabo al latino. Dall’XI secolo, insomma, il Mediterraneo cambia e la nuova epoca che allora si apre viene chiusa dall’autrice con il Cinquecento, quando la Spagna è completamente cristianizzata e ne vengono espulsi ebrei e musulmani, finisce la dinastia mamelucca spazzata via dagli Ottomani, in Europa si ha la grande scissione tra cattolici e protestanti a partire dal 1517, una parte dell’Europa proietta il suo interesse non più verso il mare interno, ma sulle nuove rotte atlantiche, che portino all’America o, con la circumnavigazione dell’Africa, verso l’Oceano Indiano.

SI TRATTA INSOMMA di cinquecento anni con una logica interna nella quale, intorno al Mediterraneo, le tre fedi abramitiche si confrontano. La trattazione inizia con l’analisi della percezione del corpo femminile nelle società cristiane, ebraiche e islamiche a partire dall’ingresso nell’età adulta, quando le donne entrano in gioco come attori sociali, cioè come future mogli e madri. Notoriamente, il matrimonio era una questione familiare, governata da logiche economiche e, in certi casi, politiche. Generalmente ci si sposava all’interno del medesimo ceto, ma le nozze potevano anche essere, per una parte, un mezzo di promozione sociale.
È una logica che si riscontra in tutte e tre le culture senza particolari differenze, e che nel periodo trattato ricade sempre più nell’ambito di interesse delle autorità religiose; non era stato sempre così, viene da dire, poiché il mondo cristiano altomedievale aveva conosciuto un interesse della Chiesa molto più rarefatto verso le questioni matrimoniali.
Quasi contrapposta al vivere in famiglia, vi è la scelta della vita religiosa, che spesso era la sola a consentire, nella vita in comune fra donne, qualche forma di autonomia, come nelle sperienze del beghinaggio; in tale ambito la differenza fra le tre regioni è invece marcata, perché soltanto ambiti ristretti del mondo islamico, come quello dei ribat sufi, conoscono forme di vita in comune.

LA VITA IN COMUNITÀ consentiva anche forme di istruzione che non sempre erano garantite per quante restavano nell’ambito familiare; tuttavia molte erano le donne che studiavano, e in alcuni casi sviluppavano talenti intellettuali e artistici: donne poetesse e rimatrici che si incontrano in ambito, qui sì, tanto cristiano quanto ebraico e musulmano; tenendo conto poi del fatto che un dominio per quell’epoca importante, ossia quello dell’oralità, sfugge in larga parte al nostro controllo.
Nelle tre fedi, tuttavia, le donne, anche quelle con un certo grado di cultura, finivano per essere estromesse dalla lettura dei testi sacri anche per la difficoltà a confrontarsi con l’arabo coranico, l’ebraico biblico, il latino. Parte della cultura a trasmissione orale erano pure certe abilità tipicamente femminili, come quelle di ostetriche, balie, guaritrici. Anche prettamente mediche, se si pensa alla scuola salernitana o a tante altre esperienze che sono attestate nei secoli medievali, sebbene con una progressiva marginalizzazione e poi esclusione dell’elemento femminile man mano che quella medica diviene una professione appannaggio degli uomini.

GAGLIARDI SOTTOLINEA come alcune donne, per difendere il loro mestiere di esperte, utilizzassero l’argomento della pudicizia che necessitava la presenza femminile per curare le donne, a maggior ragione quando ciò riguardava la cura ginecologica. Ovviamente in quanto guaritrici rischiavano anche di incorrere in accuse di magia poiché la medicina popolare conosceva un certo numero di incantesimi, detti, preghiere che accompagnavano tradizionalmente gli atti. La prospettiva interdisciplinare, transnazionale e transculturale fa di Anima e corpo un capitolo nuovo negli studi «di genere», che sarebbe interessante proporre anche per altri ambiti al di fuori di quello religioso.

UNA PROSPETTIVA transculturale si coglie anche, sebbene in modo diverso, nello studio di Elina Gugliuzzo, Una gentildonna inglese e il ’mal mediterraneo’. La peste di Tripoli 1784-1786 (Nuova Rivista Storica / Società editrice Dante Alighieri, pp. 244, euro 22): della gentildonna in questione si conosce solo il cognome, miss Tully, e una raccolta di lettere pubblicata in Inghilterra che riscosse un buon successo con il titolo di Narrative of a Ten Years’ Residence at Tripoli in Africa. Le aveva scritte durante la sua residenza, per dieci anni, dal 1783 al 1793, presso la casa consolare tripolitana di Richard Tully, rispetto al quale evidentemente aveva un grado di parentela, anche se non è noto quale fosse.
Da questo osservatorio mediterraneo multiculturale, miss Tully testimonia un episodio epidemico, la peste che colpì Tripoli dal 1784 al 1786, ma anche altri fenomeni, come la pioggia di cenere vulcanica caduta sulla città nel primo anno di epidemia; in quell’anno si registrarono infatti un’eruzione dell’Etna sull’altra sponda del mediterraneo, nonché quella del vulcano islandese Lakagigar, di portata drammatica per il clima europeo: naturale allora il richiamare, come fa l’autrice, le teorie che per secoli avevano messo in connessione pestilenze e terremoti.
Le lettere di miss Tully, donna colta e con acute capacità di osservazione, chiamano in causa gli equilibri climatici e vanno incontro alle preoccupazioni della storiografia (e non solo) contemporanea circa la storia ambientale. Ottimo dunque l’averle riproposte in un saggio esplorativo, in attesa magari di una loro edizione italiana.