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Un commissario anticrisi

Un commissario anticrisiDimitris Taxis, «End of innocence», Athens

Interviste Un incontro al Salone del libro con lo scrittore greco Petros Markaris, in Italia per presentare «Titoli di coda», il suo ultimo romanzo. «Fin dal XIX secolo, i polizieschi hanno rappresentato il genere letterario che meglio intercettava gli umori della società»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 16 maggio 2015

Il mestiere del poliziotto, il commissario Kostas Charitos l’ha imparato quando la Grecia era ancora schiacciata dalla dittatura dei Colonnelli. Ora, dopo alcuni anni, e quattro romanzi, passati ad affrontare la maggiore crisi vissuta dal suo paese dopo il ritorno alla democrazia, si appresta a voltare pagina, nella speranza che il peggio sia passato e che i greci si stiano incamminando verso un futuro perlomeno migliore del recente passato.
Sembra essere un auspicio più che una convinzione profonda, quello con cui Petros Markaris, tra gli scrittori greci più noti e tradotti a livello internazionale, presenta al Salone del libro di Torino Titoli di coda (Bompiani, pp. 312, euro 18,50), il romanzo che fin dal titolo conclude la serie, inizialmente prevista come una trilogia, di indagini condotte dallo sbirro ateniese nel clima incandescente e drammatico della crisi economica che attanaglia il paese – Prestiti scaduti, L’esattore, Resa dei conti.

Per il suo commiato dalla crisi, il personaggio creato dall’autore nato a Istanbul nel 1937 e a lungo collaboratore del regista Theo Angelopoulos, si cimenta con un’indagine che mette in risalto luci e ombre della situazione greca, nello scenario di un’Atene cui le nuove povertà urbane hanno cambiato definitivamente volto.

Aveva annunciato di voler scrivere una «trilogia della crisi», ma in realtà «Titoli di coda» è già il quarto romanzo in cui racconta della drammatica situazione che si vive il suo paese. Charitos ci guiderà fino all’uscita della Grecia dall’emergenza?
Mi piacerebbe poter rispondere positivamente, ma non è così. È chiaro che la crisi continuerà ancora a lungo, ma quello che avevo da dire al riguardo, come sul tema della corruzione della classe politica greca e dell’assenza di una vera Europa politica, elementi che hanno svolto un ruolo di primo piano nello sviluppo della crisi stessa, è già tutto nei miei libri di questi ultimi anni. Quando, nel 1995, ho iniziato a scrivere del commissario Charitos, il mio progetto era quello di creare un personaggio che mi permettesse di parlare della società e della politica in Grecia.
Così, quando scoppiò la crisi, nel 2008, decisi che avrei scritto una trilogia che aveva al centro questo tema. All’epoca, un giornalista mi domandò: «Come farà a portare a termine questo progetto, crede che la crisi durerà abbastanza da consentirle di scrivere addirittura tre romanzi?». Ora la trilogia è terminata, mentre invece la crisi continua e nessuno sa dire quando finirà.
Le difficoltà della Grecia continueranno ad accompagnare le indagini di Charitos, ma è venuto il momento di guardare avanti, a cosa succederà dopo la fine dell’emergenza: questo è il mio ultimo romanzo dedicato al disagio economico e sociale.

Con le inchieste di Charitos, negli ultimi anni, ha preso forma una sorta di vero e proprio «romanzo della crisi» che va al di là dello stesso caso greco: si tratta di un destino naturale per chi scrive polizieschi?
Fin dal XIX secolo, il romanzo poliziesco ha rappresentato il genere letterario che meglio ha permesso di capire la società e cosa vi accade. Inoltre, per molti degli autori che si sono cimentati con questo genere, la letteratura ha rappresentato un’ideale prolungamento della politica. Io appartengo alla generazione cresciuta dopo la guerra civile greca – 1946/1949 -, per la quale ogni espressione culturale o artistica è sempre stata legata alla politica.
Come è naturale, questa visione delle cose ci ha portato anche a prendere degli abbagli colossali, ma ciò che di tutto questo rimane ancora oggi, e in modo positivo, è una sorta di testarda abitudine a considerare quanto accade intorno a noi: è con questo atteggiamento in testa che ho creato Charitos e il piccolo mondo che lo circonda, da cui lui osserva la Grecia e le sue trasformazioni. Perciò, dopo lo scoppio della crisi, è grazie a lui che ho dato il mio piccolo contributo per tentare di capire cosa fosse realmente accaduto.

In questo romanzo, dei giustizieri che si firmano «I Greci degli anni ’50» rivendicano degli omicidi con la frase «tornate indietro e ricominciate daccapo. Ma stavolta fate le cose per bene!». In queste parole c’è il senso ultimo della sua analisi?
Per certi versi sì. All’origine della crisi che ha investito in particolar modo la Grecia ci sono certo le responsabilità del mondo finanziario internazionale e dell’Europa, ma prima di tutto ci sono quelle dei greci stessi che, a partire dagli anni Ottanta, hanno dimenticato di essere stati a lungo poveri, ma onesti, e hanno cercato di arricchirsi in ogni modo, costi quel che costi. Sono stati fatti errori giganteschi e ora, per cambiare le cose, c’è bisogno di «riavvolgere il nastro» e ricominciare daccapo: si deve ripensare completamente l’intera macchina statale e il senso stesso dello Stato e non solo la burocrazia che non funziona più, sommersa com’è dalla corruzione. Quella in corso viene spesso indicata solo come una crisi finanziaria ed economica, ma in realtà ad andare in frantumi sono state prima di tutto le istituzioni e un intero modello politico, sociale e culturale.

Dopo essere stato a lungo vicino alla sinistra del Pasok, il partito socialista, lei ne ha criticato le pesanti responsabilità nello sviluppo della crisi. Oggi come valuta gli sforzi che sta compiendo il governo Tsipras?
Temo che il governo attuale non riuscirà a cambiare la situazione e questo perché il sistema clientelare che ha portato il paese sul bordo del fallimento si è subito adeguato alla nuova situazione, si è trasformato più che essere stato sconfitto davvero. Naturalmente non posso che augurarmi che Tsipras riesca comunque a migliorare le cose, e che gli annunci di cambiamenti radicali non rimangano allo stadio di pie illusioni. Anche perché se Syriza dovesse fallire, c’è il rischio che il malcontento e la frustrazione della gente, già delusa dai maggiori partiti di centrodestra e centrosinistra, finisca per portare consensi all’estrema destra, un pericolo che è presente in tutta Europa ma che da noi è ancora più terribile, visto che è incarnato dal partito neonazista di Alba Dorata.

All’inizio del romanzo, la figlia di Charitos, Caterina, viene aggredita dai neonazisti per il suo impegno a favore degli immigrati. La minaccia di Alba Dorata continua a restare uno dei volti drammatici della crisi greca?
Sì, come dicevo, la situazione è ancora molto pericolosa. Il fatto è che la battaglia contro un partito neonazista non si può condurre solo sul piano giudiziario. In Grecia, dopo l’omicidio – avvenuto nel settembre del 2013 – del giovane rapper Pavlos Fyssas da parte di un militante di Alba Dorata, la magistratura ha finalmente deciso di intervenire contro i neonazisti: oggi molti leader del movimento sono in galera e le inchieste continuano. Sul piano politico non si può però dire che le cose siano andate nello stesso modo.
Da un lato, Alba Dorata ha continuato a raccogliere comunque parecchi voti, dall’altro, il maggiore partito di destra, Nuova Democrazia, dell’ex premier Samaras, sta occupando posizioni politiche molto simili a quelle già sostenute dai neonazisti, specie in materia di immigrazione, e sta aprendo le porte ad alcuni ex quadri dell’estrema destra. Perciò, la lotta che sembra sul punto di essere stata vinta sul piano giudiziario, non è nemmeno veramente cominciata su quello politico.

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