Contrordine a Berlino: si torna al carbone. Cade per davvero l’ultimo tabù dei Verdi, l’ennesimo dall’inizio della crisi energetica, sacrificato per risparmiare il gas necessario a superare l’inverno con solo il 20% delle forniture di Gazprom.

«Un male necessario» ammette Robert Habeck, ministro dell’Economia con delega alla Transizione ecologica; prima della guerra in Ucraina aveva immaginato ben altro futuro per i Verdi dentro la Coalizione del Futuro guidata dal cancelliere Scholz. Il numero due del governo di fatto ha solamente due scelte: riaprire le vecchie centrali a carbone oppure prolungare la vita dei tre impianti nucleari ancora operativi oltre la fine dell’anno, esattamente ciò che chiedono gli alleati di Fdp, a partire dal ministro delle Finanze, Christian Lindner.

Già pronta la scelta del primo “revamping” annunciato ieri dall’Agenzia federale delle Reti dalla sede di Bonn: si riattiverà «temporaneamente» la centrale di Mehrum a Hohenhameln (Bassa Sassonia) in grado di fornire energia almeno a mezzo milione di famiglie, come previsto dall’ordinanza predisposta per tempo lo scorso 14 luglio con l’obiettivo di ridurre l’11,2% della produzione di energia elettrica attualmente derivante dal gas.

Nel dettaglio il regolamento firmato da Habeck consente l’immissione negli elettrodotti nazionali di megawatt ottenuti con carbone fossile oppure olio combustibile, in teoria fino alla fine di aprile 2023.

«Il gas non deve essere più usato per l’elettricità» avverte l’atomico Lindner dall’alto dalle colonne della Bild am Sonntag, settimanale dell’informazione conservatrice. Sul suo tavolo è ormai pronta la direttiva che impone anche la riattivazione delle miniere di lignite, chiuse da anni.

Eppure, in queste condizioni, l’idea di Lindner risulta impossibile. A farlo notare è uno dei portavoci del vice-cancelliere Habeck secondo cui il completo abbandono del gas nella produzione di elettricità trascinerebbe la Germania nella spirale del blackout. «Ci sono centrali elettriche a gas rilevanti per il sistema che devono essere continuamente rifornite. Se non otterranno più il combustibile necessario ci saranno per forza gravi interruzioni. Così funziona la nostra rete elettrica, che bisogna conoscere bene se si vuole mettere in sicurezza l’approvvigionamento» è la frecciata volante fra i due dicasteri del governo Scholz.

«Abbiamo dichiarato il ritorno al mercato dell’elettricità. Ci aspettiamo di tornare in rete a breve» conferma felice il direttore della centrale a carbone della Bassa Sassonia, pronto a rivendere allo Stato i 690 megawatt di capacità netta dell’impianto di proprietà della società energetica ceca Eph. Ma il piano Habeck potrebbe fallire, banalmente, per motivi logistici: l’infrastruttura di rifornimento delle centrali, a cominciare dall’indispensabile rete ferroviaria, sono stati in gran parte smantellati in vista dell’«uscita irreversibile» dal carbone proclamata ufficialmente dal governo Scholz almeno una decina di volte.

Secondo gli esperti del settore entro il prossimo novembre le centrali a carbone riattivate dovrebbero avere combustibile sufficiente per funzionare a pieno carico per trenta giorni. «Resta però da vedere se il trasporto merci su rotaia sarà in grado di assorbire ulteriori volumi di carbone importato» come ha tenuto a precisare ieri Frank Huster, responsabile dell’Associazione federale della logistica. Anche il segretario di Stato ai Trasporti, Oliver Luksic (sempre di Fdp e ancora via Bild) ha lanciato il medesimo avvertimento ad Habeck: «I vagoni necessari al trasporto sono stati significativamente ridotti a causa dell’abbandono politico del carbone».